Donatello e il Putto nella scultura

Parte VII

Un’ altra importante fusione in bronzo eseguita da Donatello è quella della Giuditta e Oloferne in grandezza naturale (236 cm con la base di bronzo) oggi davanti al Palazzo della Signoria a Firenze, ma probabilmente commissionata dai Medici per il cortile del loro palazzo.
L’eroica ebrea Giuditta sta per tagliare la testa ad Oloferne, generale di Nabucodonosor, completamente ubriaco, salvando così il suo popolo.

Sul cuscino in cui Oloferne è seduto c’è la firma di Donatello OPVS – DONATELLI – FLO, e anche la scritta EXEMPLUM – SAL – PVB – CIVES – POS- MCCCCXCV, scritta che fu aggiunta quando la statua fu posta fuori del palazzo della Signoria nel 1495.
Ma entro l’ agosto del 1464, quando si trovava ancora nel palazzo Medici, vi erano sul basamento altre due scritte andate perdute: “Regna cadunt luxu surgent virtutibus urbes caesa vides humili colla superba manu” cioè: “I regni cadono per la lussuria, risorgono grazie alle virtù: ecco il collo dell’ orgoglio reciso dalla mano dell’ umiltà”. E tra gli anni 1464 e 1469 Piero de’ Medici aggiunse la seconda iscrizione:
Regna Cadunt / Salus Publica / Petrus Medices Cos. Fi. Libertati simul et fortitudini hanc mulieris statuam quo cives invicto constantique animo ad rem pub. redderunt dedicavit, cioè “Piero figlio di Cosimo ha dedicato la statua di questa donna a quella libertà e fortezza conferite alla repubblica dallo spirito invitto e costante dei cittadini.”
Tutto fa pensare che per Donatello per i suoi coetanei Giuditta, pesantemente vestita e a capo coperto, rappresentasse la continenza che vince la superbia e la lussuria simboleggiata da Oloferne mollemente seduto su un cuscino. E, per traslato, la repubblica, come Firenze e Venezia era paragonata alla Grecia e a Roma antiche e contrapposta agli stati tirannici come Milano, nemica di Firenze. Oloferne era il generale di un monarca totalitario. Giuditta, salvatrice della libertà d’ Israele, era correlata alla resistenza della Repubblica Fiorentina contro la tirannia dei Visconti di Milano.
Sulla base triangolare della statua ci sono tre bassorilievi basati sui putti. Sul primo
dei putti alati, nudi o seminudi e di diverse età, vendemmiano e trasportano le uve nelle ceste; in basso c’ è una figura sdraiata ed ebbra, che indossa una maschera e tiene una brocca. Si tratta di una scena bacchica, come nelle feste in onore di Dioniso nella Grecia antica, dove recitavano attori mascherati.

Sul secondo bassorilievo due putti schiacciano l’ uva all’ interno di un cratere, anch’esso decorato sul bordo da putti e ghirlande. Un putto beve direttamente dal cratere, un’ altro si tira su la veste, due sono sdraiati ubriachi. Sono sculture che ripetono lo stilema classico romano che appare in varie opere antiche.

Sul terzo bassorilievo un putto seduto in grembo di Dioniso lo bacia, altri suonano corni e danzano.

Le tre scene rappresentano i baccanali ed i suoi effetti deleteri, e non hanno niente a che fare con le scene cristiane di vendemmia e produzione del vino inteso in senso eucaristico. Si riferiscono cioè alla ubriacatura di Oloferne. Nella “Republica” Platone scrive che l’ ubriachezza fa diventare l’uomo tiranno, come il tirannico Eros, interpretazione neo platonica seguita da Donatello.
Anche sull’abito di Giuditta appaiono dei putti: sul davanti del corpetto due putti alati nudi sostengono il cerchio, lateralmente altri due dai volti disperati sono al lato di un vaso, altri dietro, altri sul polsino di destra.

A differenza di quelli dei bassorilievi, i putti sull’abito di Giuditta stanno a simboleggiare la sua vittoria.

Gli ultimi capolavori di Donatello sono i due pulpiti bronzei fusi a cera persa per la chiesa di San Lorenzo a Firenze, eseguiti dopo il 1460. E’ probabile che all’ epoca della sua morte nel 1466 siano stati completati dai suoi aiutanti Bartolomeo Bellano e Bertoldo di Giovanni, quest’ ultimo anche amico di Lorenzo il Magnifico. Hanno subìto varie vicende tra cui la sistemazione sulle colonne agli inizi del ‘500 e un successivo rimontaggio a metà del ‘500.
In entrambi Donatello ha creato una stretta fascia di trabeazione in cui compaiono i piccoli putti, ed è la prima volta che questo tipo di decorazione riappare dopo l’ epoca classica, infatti Donatello si è ispirato ai sarcofagi romani. In questi due pulpiti i putti tornano ad essere elementi secondari che commentano le scene sottostanti, con danze bacchiche e riferimenti alla vendemmia e al vino.

Il Pulpito delle Passione

è composto da sette scene: Preghiera nell’ orto degli ulivi, Gesù da Pilato e Caifa, Crocefissione, Compianto, Sepoltura, (i due bassorilievi della Flagellazione e di San Giovanni Evangelista sono in legno e risalgono al ‘600). Nella trabeazione di questo pulpito i putti sono bacchici in quanto fanno riferimento al lavoro della vigna e del vino ma non sono ubriachi, e simboleggiano, nel contesto della Passione di Cristo, l’ Eucarestia.
In antico il culto di Dioniso prometteva una vita dopo la morte, e i suoi riti prevedevano il bere vino. Per gli umanisti del Rinascimento Dioniso prefigura Cristo con la sua promessa di salvezza, data agli iniziati attraverso la partecipazione alla messa cristiana con l’ offerta del pane e del vino. Ci sono anche alcuni paralleli nella vita di Dioniso-Bacco e quella di Cristo: hanno avuto entrambi una nascita miracolosa, entrambi hanno eseguito miracoli col vino, entrambi hanno i grappoli d’ uva come attributi, in entrambe le religioni ci sono aspetti di sofferenza, morte e vita nell’ aldilà.
Si vede’ altra attinenza alla scena di Gesù nell’ Orto degli ulivi in due putti a destra della trabeazione che si baciano prefigurando il bacio traditore di Giuda. Il neoplatonismo del rinascimento dava un significato cristiano al paganesimo romano.

Nel bassorilievo della Crocifissione uno dei putti a sinistra sta navigando reggendo una vela.

Putti naviganti sono presenti negli antichi affreschi e mosaici come simbolo di passaggio della vita all’aldilà, e nella Crocifissione si il passaggio dalla vita alla morte di Cristo.
In quello della Sepoltura, oltre a giocare con l’uva, simbolo eucaristico, due putti suonano degli strumenti musicali e due si abbracciano per consolarsi.

e anche sui capitelli dei pilastri appaiono putti reggi ghirlanda, così come putti compaiono sui capitelli della Crocifissione e del Compianto.

Altri sono posti sopra ai capitelli delle colonne della Cristo davanti a Caifa e a Pilato.

Il pulpito della Resurrezione

è composto da otto scene: Le pie donne al Sepolcro, Discesa al Limbo, Resurrezione, Ascensione, Pentecoste, Martirio di San Lorenzo, Cristo deriso, San Luca Evangelista, ed anche questo la trabeazione con putti.
Nelle Pie donne al Sepolcro un putto sta dormendo, in sintonia con i due soldati all’ estrema destra del bassorilievo.

All’interno della scena dell’ Ascensione dei putti alati volano attaccati al mantello di Cristo

e nella trabeazione dei putti stanno rialzando un erma caduta, e a sinistra altri rialzano la statua di un putto con la cornucopia. Potrebbero essere entrambi simbolo della resurrezione di Cristo.


La Porta Santa

Parte I

Durante il Giubileo l’apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro in Vaticano da parte del papa è l’invito universale ad entrare nella casa di Dio. La Porta Santa si apre ai primi vespri della vigilia di Natale, giorno in cui è nato Gesù, venuto per aprire la porta del cielo che introduce alla salvezza.

Storia del Giubileo

Prima del Giubileo vero e proprio ci sono state forme di indulgenza plenaria simili: la più antica conosciuta è stato l’ Anno Santo giacobeo istituito dal papa Callisto II nel 1122 e nel 1126, per cui per ottenere il perdono di tutti i peccati i pellegrini si dovevano recare a Santiago di Compostela.
Nel 1294 papa Celestino V emise la Bolla del Perdono per cui visitando la chiesa di Santa Maria di Collemaggio nella città dell’ Aquila tra il 28 e il 29 d’ agosto di otteneva la “Perdonanza”, cioè l’ indulgenza plenaria.

Papa Celestino V, Niccolò di Tommaso, Santuario di S. Maria di Casaluce.

Papa Bonifacio VIII, sulla scia della leggenda dell’ “Indulgenza dei Cent’anni” conosciuta dai tempi di papa Innocenzo III,

Papa Bonifacio VIII, Arnolfo di Cambio, Museo Opera del Duomo, Firenze.

Papa Innocenzo III, affresco, monastero di San Benedetto, Subiaco.

Incoronazione di Papa Bonifacio VIII, miniatura di Jacopo Stefaneschi, De Coronatione, fine ‘200.

il 22 febbraio del 1300 con la bolla “Antiquorum habet fida relatio” indisse il Giubileo con effetto retroattivo al 24 dicembre 1299, stabilendo anche che si sarebbe dovuto ripetere ogni 100 anni. La bolla venne incisa su una lastra di marmo e affissa nel portico della Basilica Vaticana. E alle sue copie inviate in tutto il mondo cattolico vennero aggiunti i tre versi leonini:
Annus centenus Romae semper est iubileus
Crimina laxantur cui poenitet ista donantur
Hoc declaravit Bonifacius et roboravit
(L’ anno centesimo a Roma è sempre giubilare / I peccati sono assolti le pene condonate / Questo dichiarò Bonifacio e confermò.

Bolla di indizione del primo Giubileo di Bonifacio VIII.

Bonifacio VIII proclama il giubileo del 1300, Giotto, San Giovanni in Laterano, Roma.

Esisteva infatti una tradizione per la quale fino dai tempi antichi un pellegrinaggio a alla Basilica di San Pietro a Roma eseguito il primo gennaio del primo anno di ogni nuovo secolo avrebbe fatto avere l’ indulgenza plenaria. L’ unica notizia che questo rito era in uso fin dal 1200 è riportata nell’ opera “De centesimo sive Jubileo anno liber” resoconto del primo Giubileo del 1300, di Jacopo Caetani degli Stefaneschi, canonico di San Pietro: scrive che un vecchio di 108 anni che, interrogato da Bonifacio, asserì che 100 anni prima, il 1º gennaio 1200, all’età di soli 7 anni, assieme al padre si sarebbe recato innanzi a Innocenzo III per ricevere l’Indulgenza dei Cent’Anni.

Il Trittico Stefaneschi (particolare), Giotto, Pinacoteca, Vaticano

Mentre i sigilli plumbei delle bolle di Bonifacio VIII sono noti, la prima medaglia di questo papa risale al ‘400 e riporta sul retro la Porta Santa.

Si ritiene che tra le monete anonime emesse dal Senato Romano durante il XIII secolo, i cosiddetti “sampietrini” d’ argento siano stati coniati intorno al 1297 proprio in previsione del Giubileo del 1300.

Da tutta la Cristianità ci fu un afflusso enorme di credenti che si recavano alla Basilica di San Pietro, come ricorda Dante nei versi 28-33 del XVIII canto dell’ Inferno:

Come i Roman per l’esercito molto
l’anno del Giubbileo, su per lo ponte
hanno a passar la gente modo tolto
che dall’un lato tutti hanno la fronte
verso il Castello e vanno Santo Pietro
dall’altra sponda vanno verso il monte…

per cui fu necessario creare un doppio senso di circolazione sul ponte Sant’Angelo per non intralciare l’ andare e il venire. Le cronache ci dicono che anche a Firenze, a causa della grandissima moltitudine di pellegrini che andavano e venivano da Roma, si applicò una ringhiera di metallo al centro del Ponte Vecchio per regolare il flusso dei viandanti.

Sx – I pellegrini arrivano a Roma. Illustrazione del manoscritto “Croniche” di Giovanni Sercambi. XIV secolo. Archivio di Stato, Lucca.

Dx – Firenze, via Giovanni da Verrazzano, Lapide a ricordo del viaggio fatto a Roma per il Giubileo del 1300 da “Ugolino” e la moglie.

Invece che ogni cento anni, il Giubileo venne indetto dopo 50 anni: il Papa Clemente VI il 18 agosto del 1349 pubblicò, da Avignone, la bolla “Unigenitus Dei Filius” che fissava l’ inizio del Giubileo il 25 dicembre del 1350, nonostante la celebre epidemia di peste del 1348, quella descritta dal Boccaccio nel Decamerone. E dispose che dovesse venir ripetuto ogni 50 anni, invece dei 100 stabiliti da Bonifacio VIII.

Papa Clemente VI, Matteo Giovannetti, 1345, Palazzo dei Papi, Avignone.

Matteo Villani che continuò la “Cronaca” del fratello Giovanni ci dice che tra la Quaresima e la Pasqua visitarono Roma un milione e duecentomila fedeli, e a Pentecoste ottocentomila. Cifre che sembrano molto improbabili.

Pellegrini in viaggio, miniatura tratta dalle Cronache trecentesche di Giovanni Sercambi, Archivio di Stato, Lucca.

Il papa Urbano VI, con la bolla “Salvator Noster Unigenitus Jesus Christus dell’ 8 aprile 1389 stabilì che i Giubilei venissero indetti ogni 33 anni invece che ogni 50. Dispose eccezionalmente di svolgerlo nel 1390, ma morì nel 1389; il successore papa Bonifacio IX lo indisse in quell’anno nonostante lo scisma e la condanna dell’antipapa Clemente VII.

Ritratto di papa Urbano VI presso la Basilica di San Paolo fuori le mura.

Papa Bonifacio IX, Busto contemporaneo, San Giovanni in Laterano, 1390-1410 ca.

Tra papi ed antipapi Martino V stabilì un Giubileo per il Natale del 1423, e un anonimo cronista viterbese scrive che “fè aprire la porta santa di S. Giovanni in Laterano”, cioè creò una nuova porta nella basilica denominata per la prima volta “Porta Santa” che si aprì per la prima volta in quell’ anno.
Niccolò V volle tornare ai Giubilei distanti 50 anni l’ uno dall’ altro indicendo quello del 1450 che ebbe un eco enorme con una altrettanto enorme presenza di fedeli provenienti da tutta Europa tanto che alimenti e alloggi non bastarono. E anche per questo Giubileo fu aperta nella Basilica del Laterano la Porta Santa, come scrive il mercante fiorentino Giovanni Rucellai nel suo Zibaldone, confermando quanto già dichiarato dall’anonimo viterbese per il 1423.

Papa Martino V, Pisanello, XV secolo, Palazzo Colonna, Roma

Papa Paolo II portò l’intervallo tra i Giubilei a 25 anni indicendolo per il 1475, chiamandolo dell’ “Anno Santo”, termine che si affiancò da allora a quello di “anno giubilare” o Giubileo.

Papa Paolo II, Cristofano dell’Altissimo, XVI secolo.

Non è chiara l’ eventuale presenza di una Porta Santa sia in San Pietro che in San Paolo Fuori le Mura e in Santa Maria Maggiore fino al pontificato di Alessandro VI. Autori sostengono che fossero presenti addirittura prima del ‘300, altri che invece l’ apertura e la chiusura della Porta Santa nelle Basiliche Vaticane sarebbe iniziata appunto con Alessandro VI.

Ritratto di Papa Alessandro VI; Cristofano dell’Altissimo, Corridoio vasariano, Firenze

Alessandro VI Borgia indisse il Giubileo del 1500.
Il maestro della cappella papale dal 1484 Giovanni Burcardo (Johannes Burckardus) che scrisse
i “Libri Caeremoniales”, una cronaca delle cerimonie del Vaticano, ci dice che la Porta Santa venne creata per la prima volta nella Basilica di San Pietro dal papa Alessandro VI Borgia in occasione del Giubileo del 1500, da lui indetto nel marzo del 1499 con la bolla Inter Multiplices; per l’ occasione fece aprire anche una nuova strada, la Via Alessandrina (distrutta negli anni ’30 del 1900).
E infatti con la bolla “Inter curas multiplices” Alessandro VI annunciò il Giubileo per il Natale e dispose l’ apertura in contemporanea della Porta Santa di San Pietro e delle altre tre Basiliche patriarcali: San Paolo, Lateranense, Santa Maria Maggiore. E aggiunse “…apriremo con le nostre mani la Porta della basilica del beato Pietro…”.
Nella Basilica di San Pietro venne costruita una nuova porta in muratura, ma preparata perché durante la cerimonia del Giubileo fosse facile per il papa rompere con le tre martellate una piccola parte centrale. Il resto della porta venne demolita dai muratori. Il primo ad entrare in chiesa doveva esse il papa. Alessandro VI anche se forse non creò ex novo la cerimonia dell’ apertura e della chiusura della Porta Santa, dette ad essa però per primo ordine ed uniformità fissando un rituale solenne e rigido nelle norme da osservare. Fu Alessandro VI a denominare il Giubileo anche Anno Santo.
In questo modo ha posto al centro dei riti giubilari la Porta Santa rendendo questo elemento puramente architettonico un profondo valore spirituale carico di significati simbolici.
Ed il martello con cui il papa colpiva la porta si rivestì di un significato simbolico-religioso trovando una affinità ideale con la verga con cui Mosè nel deserto percosse una roccia nel deserto da cui scaturì l’ acqua per il suo popolo. Clemente VII, nel Giubileo successivo del 1525 fece sostituire il martello di muratore adoprato da Alessandro VI fosse sostituito con uno d’ oro massiccio o d’ argento dorato, come ci conferma anche Giorgio Vasari nei suoi cinquecenteschi i “Ragionamenti”.

Sappiamo che prima dell’ Anno Santo del 1625 papa Urbano VIII propose di sostituire nella cerimonia di apertura e chiusura della Porta Santa la porta murata con una porta di legno munita di cerniere e il martello con due chiavi una d’ oro e una d’ argento.

La prima immagine relativa all’ apertura della Porta Santa è quella coniata sul verso della moneta da 5 ducati del 1525 di Clemente VII.

Dal 1742 al 1752 venne realizzata una porta in metallo con anima di legno, per volere di Mons. Francesco Giovanni Olivieri Segretario della Reverenda Fabbrica, che andava a sostituire le imposte di legno della Porta Santa, dove furono incastrati e commessi i due sportelli di metallo che chiudevano la nicchia del Volto Santo del tabernacolo nell’ antico San Pietro. Le due nuove ante non avevano nessun pregio artistico, ma servivano per la chiusura della Porta Santa durante i vari giubilei successivi.