Donatello e il Putto nella scultura

Parte V

Gli anni ’40 del ‘400 sono quelli in cui Donatello realizza le sue più importanti e più grandi opere di bronzo, in ognuna delle quali continua a far apparire, in un modo o nell’altro, i suoi deliziosi putti.
Nel celebre David bronzeo (Mus. del Bargello, Firenze) scolpisce sull’ elmo della testa di Golia ai suoi piedi una bassorilievo decorativo in cui compare una scena con una serie di putti.

Il significato di questa scena è stato molto discusso, dato che la spada di David vuole indicare proprio il piccolo bassorilievo che quindi probabilmente indica la “morale” dell’ intera scultura. Vi è rappresentato un carro trainato da due putti alati e nudi; sul carro è intronata una figura senza ali che riceve regali da altri due putti alati; dietro il trono appare un personaggio nudo e grasso senza ali che ha dietro, ai piedi, un’ anfora. La scena sembra tratta da un’ antica gemma romana, probabilmente della collezione dei Medici; è molto probabile che la figura seduta sia Bacco accompagnato da Sileno, e che il putto alato gli stia offrendo una coppa di vino. Essendo sull’ elmo di Golia, potrebbe essere la rappresentazione dell’ incontinenza, superbia e arroganza, vizi associati a Golia (e ai tirannici nemici di Firenze) vinti dalla virtù del David (la città di Firenze).

Attis
E’ una statua di bronzo a tutto tondo, alta circa 104 centimetri. Anche se con vari attributi, si tratta di un putto in piedi, ed è la prima volta che nel Rinascimento il putto è scolpito a tutto tondo in queste dimensioni, senza essere un personaggio accessorio o di secondo piano. E’ assolutamente in stile classico pagano, tanto che nel XVII secolo venne preso per un opera romana antica. Oltre che bellissimo, è anche enigmatico, non esiste nell’antichità nessun essere con le sue fattezze e i suoi attributi: sembra che Donatello abbia inventato un nuovo tipo di creatura. E’ in piedi, in un rilassato chiasmo, con entrambe le braccia sollevate.
Si guarda gioiosamente la mano sinistra in cui il pollice e il medio sono chiusi, probabilmente teneva in mano qualcosa che è andato perso; ha i capelli arruffati legati da un cordino che gli regge un fiore in fronte, porta un cinturone in vita con scolpiti delle capsule di papaveri che sostiene una specie di calza-pantaloni che lasciano scoperti e in evidenza le natiche e i genitali; ai piedi ha due tozzi e indefiniti paia di ali, indossa dei sandali con cui calpesta un serpente. Sulle spalle ha due bellissime ali, e all’ inizio dei glutei una piccola coda.

In antico sono esistiti putti in piedi con capelli simili e con simile posa. Ma non hanno le ali ai piedi, né cintura con calze, né coda, né serpenti da calpestare. Donatello ha voluto trasformare il prototipo di putto classico in qualcosa con un ben preciso significato.
Su questo significato si sono scontrati vari studiosi: per Edgard Wind (Misteri pagani del Rinascimento, Adelphi, Milano 1985) è una creazione neo platonica polimorfa, con volto e ali di Eros, che possiede la coda di Pan, i pantaloni di Attis,

la cintura di Hypnos, le ali ai piedi di Mercurio. Per Erwin Panofsky (Rinascimento e rinascenze nell’ arte occidentale, Feltrinelli, Milano 2009, p. 198 nota 14) si tratta dell’ allegoria del Tempo che tira i dadi; e infatti la coda di Pan è il simbolo dell’ associazione di Pan con l’ universo del quale il Tempo ha in mano il fato. Le ali sulle spalle e ai piedi, ed il serpente, sono simboli del Tempo. I pantaloni barbarici sono quelli di Aion, il demone del tempo di origine iraniana. I papaveri della cintura, emblemi del sonno e della morte, rappresentano la sua doppia natura di creatore e distruttore. E l’ oggetto mancante che probabilmente aveva tra le dita era appunto un dado. Il Tempo è un distruttore che gioca a dadi con l’ umanità, il nostro destino è nelle sue mani.
Un frammento di Eraclio rinvenuto nella “Refutatio omnium haeresium” (libro IX, cap. 3 e 4) di Ippolito di Roma dove il Demone del Tempo è appunto definito come un frivolo bambino che gioca d’ azzardo. E questa frase è presente anche in dei carmi (Carmina LXXXXV) del bizantino Gergorio Nazanzieno. Quando Lorenzo il Magnifico riuscì nel 1349 a portare il Concilio tra la chiesa Romana e quella d’ oriente a Firenze, l’ imperatore di Bisanzio Giovanni VIII Paleologo e la sua numerosa corte.

potrebbero aver portato all’ attenzione degli umanisti fiorentini il frammento di Eraclio in continua ricerca di testi greci classici, e poi fatta trasferire sull’ opera di Donatello, come spesso accadeva nelle botteghe degli artisti del Rinascimento.
Di questo capolavoro donatelliano non conosciamo né la data di esecuzione, che viene comunque ipotizzata alla metà del ‘400, né il committente, con qualche probabilità la famiglia Medici, o forse i Bartolini Salimbeni.
Un’altro putto proveniente dalla bottega di Donatello è quello in bronzo del Metropolitan Museum di New York.

Ha degli stilemi che ricordano molto quelli di Donatello, per esempio la pancia arrotondata sporgente come nell’ Attis, il movimento uguale a quello dei putti sul battistero di Siena, il movimento dei capelli, ed ha alcuni attributi dell’ Attis donatelliano: lo stesso tipo di attacco delle ali e le piume tra di esse sulla schiena, una strana coda pelosa, le ali ai piedi.
E’ nato come putto da fontana non sappiamo né quando, ma si può ipotizzare intorno alla metà del ‘400, nè per chi è stato eseguito. Come l’ Attis, è uno dei primi due putti come personaggio in piedi a tutto tondo.
Altri due putti bronzei magnifici, in passato attribuiti a Luca della Robbia, sono quelli del Museo Jacquemart Andre a Parigi, ma ormai sono da tempo attribuiti a Donatello e sono datati intorno al 1440.

Sono due portaceri, molto probabilmente eseguiti da Donatello per la Cantoria del Duomo, dove stavano seduti sui due angoli. Come l’ Attis, hanno capelli mossi legati con un filo decorato con foglie che regge lo stesso fiore dell’ Attis sulla fronte. Anche le ali sono simili a quelle dell’ Attis, con la parte centrale della schiena coperta di piume,

anche l’espressione del volto è similissima a quella dell’ Attis.


Sergio Benvenuti, un’amicizia artistica e una lunga storia americana – I Broncos

Dopo l’inaugurazione della Fontana dei due Oceani, i contatti tra Dudi e Pat Bowlen con Ferdinando Marinelli e Benvenuti si attenuarono, ognuno preso dal proprio lavoro; si limitarono agli auguri e ai saluti per le feste di fine anno.
Molto tempo dopo, un pomeriggio Franco Barducci direttore della Galleria Bazzanti ricevette una telefonata: era Dudi Berretti che cercava Ferdinando Marinelli.
Come per incanto gli anni passati sparirono, le voci al telefono rinsaldarono in un attimo la vecchia amicizia. Ancora una volta Dudi Berretti, incaricato da Pat Bowlen di interessarsi alla realizzazione di un grande monumento per il costruendo nuovo stadio di football di Denver per la squadra dei Broncos, di cui Bowlen era presidente,

si rivolse al binomio Ferdinando Marinelli-Sergio Benvenuti. Le telefonate tra noi tre si susseguirono insieme ai fax, scambi di disegni, schizzi, appunti. I disegni dei progetti del nuovo stadio prevedevano intorno ad esso un terrapieno che Dudi voleva coperto d’erba, arbusti, alberi, con vari cavalli di bronzo al pascolo. Fu allora che Pat Bowlen decise di regalare ai cittadini di Denver un monumento dal forte contenuto simbolico: un gruppo di sette cavalli che risalissero il terrapieno presso la scala d’ ingresso del nuovo stadio. I cavalli dovevano essere sette perché questo è stato il numero del campione della squadra dei Broncos, John Elway, (ed anche il numero fortunato nella vita di Dudi Berretti).
Su invito della “Stadium Management Co. Denver Broncos” volai insieme a Sergio Benvenuti a Denver per presentare il progetto allo Stadium Management e alle varie commissioni artistiche del District. Il monumento ricevette la piena approvazione ed il plauso di tutti. Al ritorno a Firenze Benvenuti si mise immediatamente al lavoro eseguendo i modelli da 1/5 della grandezza della scultura finale. Poco tempo dopo Dudi Beretti insieme all’ architetto paesaggista Lanson Nichols vennero a Firenze per vedere i modelli e per discutere con noi la miglior ambientazione del fondo su cui sarebbero stati fatti correre i sette cavalli.

A tavola, come si sa, si discuteva meglio

Nei locali della Fonderia Marinelli, Benvenuti iniziò l’ingrandimento del primo cavallo, proseguendo poi con gli altri sei.

Appena un cavallo era portato alle dimensioni richieste, veniva fatto in fonderia il calco e poi la cera che veniva subito ritoccata e poi portata alle successive fasi necessarie alla fusione in bronzo.

Alcuni mesi più tardi Dudi Berretti accompagnò degli incaricati della Studium Management Co. Denver Broncos, che in Fonderia controllarono con soddisfazione l’ avanzamento dei lavori.

Vennero fatte conoscere loro anche le specialità della cucina toscana.

Le fusioni procedevano,

e mentre i primi quattro cavalli di bronzo erano sulla nave diretti al porto di Huston e di lì a Denver, lo stesso Pat Bowlen venne a Firenze a riscontrare Sergio Benvenuti ed a visionare gli ultimi tre cavalli, che lo impressionarono favorevolmente.

I sette cavalli erano già a Denver quando insieme al Benvenuti arrivammo anche noi a Denver per indirizzare il montaggio della grande fontana.

Il lavoro di piazzamento e montaggio è durato alcuni giorni,

fino all’ inaugurazione ufficiale. È stata una magnifica esperienza.


L'arte della fusione a cera persa

Parte 2

I calchi negativi eseguiti sulle sculture da fondere in bronzo, vengono usati per ottenere una cera positiva della scultura stessa, dello stesso spessore che dovrà avere il bronzo.

La cera così ottenuta viene ritoccata, vengono cioè tolte le eventuali imperfezioni,

Fino a renderla perfetta e pronta per essere inglobata in una rete tridimensionale di colate,

e quindi ricoperta da un materiale refrattario chiamato loto.

La forma di loto contenente la cera viene fatta cuocere in fornace per più giorni

La cottura fa sciogliere e bruciare la cera contenuta nelle forme di loto, lasciandovi dentro l’intercapedine vuota con la forma della cera bruciata.

Dopo la cottura le forme di loto vengono messe in una buca nel terreno.

Si procede ora alla fusione del bronzo,

E alla gettata del bronzo fuso dentro le forme di loto;

Il bronzo così prende il posto della cera; le forme vengono rotte per estrarre le fusioni di bronzo

Le fusioni vengono liberate dalle colate e sabbiate per pulirle dagli avanzi di loto.

Le fusioni vengono ora nettate e cesellate,

e successivamente rimontate a freddo e poi saldate.

L’ ultima fase è la patinatura della scultura: si tratta di ossidare la superficie del bronzo nella stesso modo in cui, negli anni, farebbe l’ atmosfera, ma molto più rapidamente

La tecnica della fusione a cera persa è rimasta per secoli uguale a se stessa. Oggi ci si avvale, ovviamente, del metano invece che del carbone per i forni fusori e per le fornaci per la cottura della forme di loto, di utensili elettrici come paranchi, gru, muletti, etc. che permettono la movimentazione di parti pesanti, una volta fatta completamente a mano.
Gli unici cambiamenti relativi ai materiali sono stati la sostituzione della gelatina organica per eseguire i calchi negativi con la gomma siliconica, e la sostituzione della cera d’ api, oggi carissima, con la paraffina.
Anche la saldatura del bronzo non è più a fiamma ossiacetilenica ma avviene con saldatrici elettriche in atmosfera di argon.


Las Vegas, l'Hotel Bellagio

L’arredo di giardini, parchi, interni di ville ed hotels è uno dei frequenti lavori della Galleria Bazzanti. I nostri architetti progettano gli arredi su richiesta del cliente, oppure collaborano con l’ architetto che il cliente ha già.
Un caso tipico è quello dell’ Hotel Bellagio di Las Vegas, in cui la Galleria Bazzanti ha collaborato con l’ architetto Roger Thomas alla progettazione e alla realizzazione dei giardini dell’ Hotel, costruendo una serie di accessori d’ arredamento in pietra e in marmo.
L’ architetto ci ha fatto delle richieste di accessori lasciando alla Galleria Bazzanti la scelta dei modelli e delle parti scultoree. Sono stati eseguiti dei disegni preparatori da mostrare all’ architetto che, dopo l’ approvazione, sono serviti alla realizzazione delle opere: diversi modelli di vasi, contenitori, obelischi, etc.

la grande fontana con inserzioni di marmo verde per una delle piscine,

vasi in marmo giallo Siena

ed altri arredi architettonici.

Uno dei materiali che l’architetto ha scelto è la “Pietra Leccese” che viene estratta nelle cave della regione salentina, nel su dell’Italia. La caratteristica di questa pietra è la non eccessiva durezza al momento dell’estrazione dalla cava ed è quindi più facilmente scolpibile rispetto ai marmi. Ma ha la proprietà di diventare col tempo sempre più dura per una reazione chimica con i gas dell’atmosfera.
E’ il materiale che è stato usato fin dal rinascimento per fontane e accessori da giardino, ma specialmente per le celebri facciate barocche delle chiese pugliesi.
Particolarmente delicata è stata la realizzazione della grande fontana di pietra. Date le dimensioni e i problemi di trasporto, abbiamo dovuto crearla in quattro spicchi assemblati sul posto. In alcune fontane sono stati applicati inserti di marmo verde.
Un altro materiale voluto dall’architetto è il marmo giallo di Siena, dal tipico colore giallo ambrato, estratto dalle cave della Montagnola Senese, nel comune di Sovicille, anche questo usato nell’antichità. Si presta molto bene ad essere lavorato e tornito per arredi architettonici.

 


Donatello e il Putto nella scultura

Parte IV

La voglia e il piacere che Donatello ha nel creare i putti glieli fa apporre alla base della tomba del vescovo di Grosseto Giovanni Pecci nel duomo di Siena (1426). Sono scolpiti in basso, di scorcio, coperti dalla pergamena molto più grande di loro, che reggono. Si intravedono le teste e le braccia.

Ma non gli bastavano, e allora ha messo un putto seminascosto anche all’interno della spirale del bastone pastorale del vescovo.

In ogni opera successiva Donatello non rinuncia ai putti, quasi fossero ormai una sua firma: nel Festino di Erode (1435 ca.), bassorilievo in marmo al Musee Wicar di Lille, un bambino/putto mezzo nudo dormicchia seduto sulle scale,

nella tomba di Giovanni Crivelli del 1432, nella chiesa di Santa Maria Aracoeli a Roma, due putti volanti semivestiti reggono lo stemma della famiglia quasi a sostituire le vittorie alate dei monumenti romani,

Nella prima metà degli anni ’30 del ‘400 Donatello scolpisce l’ Annunciazione Cavalcanti in pietra serena lumeggiata d’ oro, ancora nella chiesa di S. Croce a Firenze, dove la famiglia Cavalcanti aveva una propria cappella (Ginevra Cavalcanti era moglie di Lorenzo de’ Medici il Vecchio, fratello di Cosimo de’ Medici il Vecchio). Oltre agli interessanti volti che appaiono in coppia sui due capitelli dei pilastri laterali, Donatello ha modellato e posto in alto 6 putti di terracotta alati e seminudi, lumeggiati d’ oro. Le espressioni delle coppie laterali sono giocose, leggermente impaurite, sorpresi dal miracolo che accade sotto i loro piedi. Sono spettatori esterni che non fanno parte della composizione. Richiamano anche il Bambino Gesù che è sta nascendo in quel momento nel grembo di Maria. E’ la prima volta che dei putti appaiono nella scena dell’ Annunciazione, rendendo peraltro più domestico il miracolo del concepimento grazie allo Spirito Santo./p>

Il filo nei capelli che regge un fiore sulla fronte del putto di sinistra è un elemento verrà ripetuto anche nell’ Attis di bronzo (Mus. Del Bargello).

Per la Basilica di San Pietro in Vaticano Donatello ha eseguito, negli anni ’30 del ‘400, il grande Tabernacolo del Sacramento Eucaristico (alto 228 centimetri), successivamente adoperato come contenitore di un dipinto della “Madonna della Febbre” col Bambino.

Per quanto ha potuto l’ha riempito di putti: in alto due putti alati tengono aperta la tenda dove compare un bassorilievo stiacciato della Deposizione. Ai loro lati altri due putti retrostanti hanno funzione di cariatidi. Sulla sommità del tabernacolo sono sdraiati in posa rilassata altri due putti. Ai lati del dipinto due gruppi di tre putti ciascuno, eseguito ad altorilievo, osservano quanto è contenuto nel tabernacolo sussurrando tra di loro. In basso, sulla base, quattro putti accoccolati in bassorilievo reggono il simbolo della passione di Cristo ed altre due semi-ruote laterali. Tutti i putti sono alati, vestiti in maniera classica; Donatello ha dato a quelli rivolti verso il tabernacolo freschezza, senso della fanciullezza, del gioco, della meraviglia. I putti Donatelliani, che prendono il posto degli angeli, sdrammatizzano sempre le scene sacre a cui assistono, attenuandone la ieraticità e rendendole domestiche.
Un cambio di passo avviene con la creazione di quel manufatto particolarissimo che è una delle due Cantorie del Duomo di Firenze (Ms. Opera del Duomo), terminata nel 1439.
In questo particolare monumento i putti alati non sono accessori o decorazioni di atre opere, ma sono l’opera stessa, gli unici protagonisti che creano l’ opera. Più di venticinque putti si muovono in un girotondo danzante con movimenti sfrenati, quasi dionisiaci, ed anche le espressioni dei volti confermano tale sensazione. In questo si diversificano dai putti della scultura antica. Quelli a destra giocano con corone vegetali, simbolo di vittoria del Cristianesimo sul paganesimo. Donatello ha creato un continuum di putti senza frammentare gli altorilievi in più pannelli, come nel caso della Cantoria di Luca della Robbia, ed ha posto questo unico lungo pannello dietro a una serie di cinque colonne binate che in qualche modo lo dividono, ma che danno anche un nuovo senso di spazio e profondità rispetto agli altorilievi classici. Nei riquadri di sinistra e di desta tra le quattro mensole Donatello pone dei putti speculari araldici che suonano i cembali e mangiano l’ uva prendendola da un vaso. Nella parte più bassa della Cantoria una striscia con teste di cherubini tra ghirlande.

Negli stessi anni in cui Donatello ha eseguito la Cantoria, ha lavorato anche al Pulpito di Prato. Il contratto di allogazione con Michelozzo (per l’ architettura del Pulpito) e Donatello (per la scultura) fu firmato nel 1428 e terminato nel 1438.
E’ costituito da 7 pannelli curvati di marmo con mosaico dorato come sfondo, in cui danzano i putti, come nella Cantoria con lo stesso atteggiamento da baccanale.

Un capitello di bronzo sostiene asimmetricamente l’ intero pulpito con un putto in alto che fuoriesce con difficoltà da sotto il peso che sostiene. In basso due putti bacchici sdraiati con pampini e uva tra i capelli guardano lontano. Al centro, tra le volute, altri cinque putti piccoli, in varie posizioni. Il capitello venne fuso a cera persa nel 1433, ma fu posto in opera solo nel 1438. E’ stato sicuramente fuso da Michelozzo, maestro fonditore, ma il modello è di Donatello.


La galleria Bazzanti e le alluvioni dell'Arno

L’ Arno ha regalato alla città di Firenze, e a parte della Toscana, dal medioevo ad oggi, una decina di disastrose alluvioni.
Il “meccanismo” si è sempre ripetuto nello stesso modo: le piogge hanno battuto in maniera torrenziale senza sosta per molti giorni in tutta la valle dell’ Arno, il cui bacino imbrifero è molto grande, poco meno dell’ intera Toscana. La quantità d’ acqua che si è riversata negli affluenti, esondati, e nell’ Arno è stata tale da non permetterne il regolare deflusso, a l’ acqua ha allagato le campagne e la città.
Nel medio evo gli argini del fiume erano meno resistenti e funzionali di quelli successivi, e nel 1167 l’ Arno esondò nove volte, distruggendo molte costruzioni.

La prima alluvione di cui si hanno notizie certe, è quella avvenuta nel 1333, il primo di Novembre. Ce la descrive il cronista fiorentino Giovanni Villani:

Nelli anni di Cristo MCCCXXXIII, il dì di calen di novembre [il primo novembre] essendo la città di Firenze in grande potenzia, e in felice e buono stato, più che fosse stata dalli anni MCCC in qua, piacque a Dio, come disse per la bocca di Cristo nel suo Evangelio: «Vigilate, che nnon sapete il dìe né l’ora del iudicio Dio», il quale volle mandare sopra la nostra città; onde quello dì de la Tu [tti]santi cominciòe a piovere diversamente in Firenze ed intorno al paese e ne l’alpi e montagne, e così seguì al continuo IIII dì e IIII notti, crescendo la piova isformatamente e oltre a modo usato, che pareano aperte le cataratte del cielo, e con la detta pioggia continuando grandi e spessi e spaventevoli tuoni e baleni, e caggendo folgori assai; onde tutta gente vivea in grande paura, sonando al continuo per la città tutte le campane delle chiese, infino che non alzòe l’acqua; e in ciascuna casa bacini o paiuoli, con grandi strida gridandosi a Dio Misericordia, misericordia! per le genti ch’erano in pericolo, fuggendo le genti di casa in casa e di tetto in tetto, faccendo ponti da casa a casa, ond’era sì grande il romore e ’l tumulto, ch’apena si potea udire il suono del tuono.
Per la […] quale cosa giuovedì a nona a dì IIII di novembre l’Arno giunse sì grosso a la città di Firenze, ch’elli coperse tutto il piano di San Salvi e di Bisarno fuori di suo corso, in altezza in più parti sopra i campi ove braccia VI e dove VIII e dove più di X braccia; e fue sì grande l’empito de l’acqua, non potendola lo spazio ove corre l’Arno per la città ricevere, e […] nel primo sonno di quella notte ruppe il muro del Comune di sopra al Corso de’ Tintori incontro a la fronte del dormentorio de’ frati minori per ispazio di braccia CXXX; per la quale rottura venne l’Arno più a pieno ne la città, e addusse tanta abondanza d’acqua, che prima ruppe e guastò il luogo de’ frati minori, e poi tutta la città di qua da l’Arno; generalmente le rughe coperse molto, e allagò ove più e ove meno …

I danni furono ingentissimi:

Nella chiesa e Duomo di San Giovanni salì l’acqua infino al piano di sopra de l’altare, più alto che mezze le colonne del profferito dinanzi a la porta…
…E il detto giuovidì ne l’ora del vespro la forza e empito de l’acqua del corso d’Arno ruppe la pescaia d’Ognesanti e gran parte del muro del Comune, ch’è a lo ’ncontro e dietro al borgo a San Friano, in due parti, per ispazio di braccia più di Vc. E la torre de la guardia, ch’era in capo del detto muro, per due folgori fu quasi tutta abattuta…
…E rotta la detta pescaia d’Ognesanti, incontanente rovinò e cadde il ponte alla Carraia, salvo due archi dal lato di qua. E incontanente apresso per simile modo cadde il ponte da Santa Trinita, salvo una pila e un arco verso la detta chiesa, e poi il ponte Vecchio è stipato per la preda de l’Arno di molto legname, sì che per istrettezza del corso l’Arno che v’è salì e valicò l’arcora del ponte, e per le case e botteghe che v’erano suso, e per soperchio dell’acqua l’abatté e rovinò tutto, che non vi rimase che due pile di mezzo. E al ponte Rubaconte l’Arno valicò l’arcora dal lato, e ruppe le sponde in parte, e intamolò in più luogora; e ruppe e mise in terra il palagio del castello Altafronte, e gran parte de le case del Comune sopr’Arno dal detto castello al ponte Vecchio.
In una via del centro di Firenze esiste ancora la lapide trecentesca in cui un dito segna l’ altezza raggiunta dall’acqua.

Due secoli dopo, nel 1547, si ebbe una seconda alluvione, questa volta stranamente d’ estate, il 13 agosto 1547. Fu anche questa molto grave, Giovan Battista Adriani nell sua Istoria de’ suoi tempi

ci narra che causò più di cento morti.

A distanza di appena 10 anni, il 13 settembre 1557 ce ne fu un’ altra, molto più pesante della precedente, con crolli tali da stravolgere l’urbanistica della città.

Un’altra grande inondazione è quella del 3 novembre 1844. La Gazzetta di Firenze del 5 novembre 1844 riporta che dalle nove della mattina alle due pomeriggio l’acqua aveva continuato a crescere sradicando il Ponte di Ferro. Nel numero del 7 novembre scrive che il Ponte di Ferro, travolto, andò ad urtare il Ponte alle Grazie, l’Arno superò i parapetti ed allagò la città.

Nella litografia del Muzzi e Borrani è disegnato il Lungarno Corsini e il Palazzo omonimo completamente allagati, compresa la Galleria Bazzanti.

Dalla pubblicazione del Governo Granducale si vede che anche 20 anni dopo, nel 1864, ci fu una seconda inondazione.

L’ultima terribile alluvione è stata quella del 1966. E’ avvenuta il 4 novembre, nelle stesse date di quelle del 1333 e del 1844. I danni alle costruzioni non sono stati tantissimi; sono stati tragici invece i danni alle opere d’ arte. L’ acqua melmosa si è mescolata al gasolio che è uscito, per galleggiamento, dalle centinaia di serbatoi delle abitazioni con caldaie appunto a gasolio. Ed ha danneggiato in particolar modo dipinti, antichi documenti e libri. I Lungarni sono stati completamente sommersi,

le spallette completamente abbattute,

i danni alla Galleria Bazzanti ingentissimi.

Sul muro della galleria Bazzanti si vedono, dietro alle statue, le targhette che segno il livello raggiunto durante l’ alluvione del 1844 e del 1966, dove si nota che il livello del 1966 è stato notevolmente più alto rispetto al 1844.


La Sfera Celeste a Ginevra

Parte II

Nel Maggio 2019 la Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli, è stata invitata al Palazzo dell’ONU a Ginevra per una visita preliminare al Monumento “Celestial Sphere” di Paul Manship posto nel parco difronte al Palazzo. Marinelli si è fatto accompagnare da Carlo Lanaro titolare della Lanaro Steel Technology, specializzato nella realizzazioni in acciaio inox e di macchinari meccanici.
Nel settembre dello stesso 2019 Marinelli con Lanaro è stato invitato al colloquio che la Commissione ONU incaricata di seguire il restauro del monumento ha chiesto di avere a Ginevra, dove sono stati presentati i precedenti lavori eseguiti da entrambe la Ditte e le proposte di restauro della “Celestial Sphere”. La Fonderia Ferdinando Marinelli si sarebbe interessata al restauro delle sculture in bronzo, la Lanaro Steel Technology all’ esecuzione di un nuovo scheletro in acciaio inox in sostituzione di quello originario in ferro, e alla realizzazione dei meccanismi rotatori astronomici della Sfera.

Nel Febbraio del 2020 il restauro della “Celestial Sphere” di Paul Manship del parco del Palazzo delle Nazioni Unite a Ginevra è stato affidato alla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze con la Lanaro Steel Technology come subappaltatore per le parti in acciaio e le strutture meccaniche.

Dalle foto storiche dell’ ONU è stato confermato che in origine lo scheletro della sfera a cui erano state fissate le sculture in bronzo fuse a cera persa e poi dorate era in ferro.

Il nostro lavoro è iniziato a Ginevra con lo smontaggio della Sfera dalla sua base.

La Sfera è stata quindi trasportata in fonderia con uno speciale telaio creato per ospitarla durante il “trasporto eccezionale”(date le misure della sfera); e qui sono state smontate e staccate con attenzione tutte le sculture di bronzo.

Dopo averne studiato lo stato di conservazione e la migliore tipologia da usare, le superfici dei bronzi sono state riportate al loro stato primitivo, eliminando i resti di doratura e il sottostante vecchio bolo.

Si è provveduto quindi al restauro e al ripristino dei danni subite dalle sculture negli anni.

Si sono quindi patinate le parti delle sculture che non erano dorate, così come aveva voluto lo scultore Paul Manship.

Si sono applicate nuove mani di bolo: giallo e rosso, per rendere tutte le parti delle sculture con una doratura brillante, come richiesto dai responsabili dell’ ONU.

Ed è iniziato il lungo lavoro di doratura a foglia d’ oro delle sculture di bronzo con l’ antico sistema detto “a missione”.

Contemporaneamente la Lanaro Steel Technology e i suoi ingegneri hanno calcolato ed eseguito tutti i progetti necessari alla realizzazione della struttura in acciaio inossidabile e ai meccanismi per la rotazione astronomica della “Celstial Sphere”.


Assisi, Santa Maria degli Angeli

Los Angeles, San Francescola e Porziuncola ad Assisi

Trent’anni dopo la morte di San Benedetto (547), autore della celebre Regola (il più antico codice manoscritto della Regola pervenutoci, del 810, Abbazia di San Gallo in Svizzera),

fu costruito nel 576, tra i boschi della pianura ai piedi di Assisi, un oratorio dei frati benedettini del convento del Monte Subasio. Nel ‘200 fu luogo di preghiera e meditazione di San Francesco, che lo restaurò: si tratta della celebre “Porziuncola”, dove Francesco morì nel 1226.

Il Papa Pio V nel 1569 dette inizio alla costruzione di una grande basilica, su progetto di architetto Galeazzo Alessi, intorno alla Porziuncola, che richiamava continuamente folle di fedeli, sia per San Francesco che per le indulgenze che Papa Onorio III ai primi del ‘200 aveva stabilito per chi la visitava.

A seguito dei pesanti danni causati dal terremoto del 1832 la basilica fu restaurata e venne dotatata di una nuova facciata.

La facciata sembra non aver avuto pace: Nel ‘900 venne rifatta su progetto dell’architetto Luigi Paoletti e terminata nel 1930.

In quell’occasione fu posta in cima alla facciata la monumentale scultura in bronzo della Madonna dorata commissionata allo scultore Guglielmo Colasanti

e fusa a cera persa presso la Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze.

Los Angeles

Il 31 luglio del 1769 l’avventuriero spagnolo Gaspar de Portola, accompagnato da due frati francescani, Serra e Crespi, scoprì nella California del Sud un fiume, che battezzò Rio de Nuestra Seniora la Reina de los Angeles de Porciuncola di Assisi, perchè il giorno dopo, primo di Agosto, si celebrava ad Assisi la Festa del perdono (quella stabilita dal papa Onorio III).
Nel 1781 dei coloni messicani fondarono un villaggio vicino al fiume, chiamando anche questo El Pueblo de Nuestra Seniora la Reina de los Angeles de Porciuncola, oggi compreso nel quartiere Olvera Street della megalopoli di Los Angeles.
Nel 1847 la California divenne statunitense e nel 1850 il villaggio, col nome accorciato di Los Angeles, divenne Municipalità, rimanendo comunque un piccolo paese di frontiera

fino a quando, nel 1892, la scoperta del petrolio lo fece “esplodere” in pochi decenni.


La Sfera Celeste a Ginevra

Parte I

Nel 1927 venne bandito il concorso per la progettazione del Palazzo delle Nazioni di Ginevra, e fu scelto il progetto

del team di architetti tra cui Carlo Broggi e Jozsef Vago.

Fu scelto lo stile neoclassico francese, detto Beaux Arts. I lavori iniziarono nel 1931 e terminarono nel 1938. Successivamente, negli anni ’50 e negli anni ’60 è stato ingrandito.

Fino dagli anni 30 del ‘900 la direzione dei principali membri della fondazione americana Woodrow Wilson Foundation,

il cui presidente era Franklin Delano Roosevelt,

pensava alla possibilità donare un monumento da porre nel parco del costruendo Palazzo sede della Lega delle Nazioni.
L’idea prese corpo nel 1935, quando fu contattato il celebre scultore Paul Manship.

La prima sua proposta fu quella di modellare per poi far fondere in bronzo una monumentale porta per la sala delle Assemblee. Il progetto non piacque, In quel periodo Manship si era innamorato delle sfere armillari, in passato le aveva studiate, come la a complessissima e gigantesca sfera armillare costruita nel 1593 da Antonio Santucci (cosmografo del Granduca Ferdinando I dei medici) al Museo Galileo di Firenze.

Ne aveva già eseguita una nel 1924 con all’ interno delle figure, intitolata Cyrcle of Life, per la Phillips Academy di Andover, Massachussets.

Nel 1930 anche lo scultore Hans Schuler aveva creato un grande modello di sfera armillare in bronzo, che venne istallata nel Meridian Hill Park a Washington.

Poi Nel 1934 Manship eseguì il monumento “Prometeus” per il Rackfeller Center di New York, dove Prometeo era posto all’ interno di una fascia zodiacale che richiamava uno dei cerchi del Cyrcle of Life.

Per il palazzo Delle Nazioni Unite a Ginevra propose la più completa delle sue Sfere Celesti in bronzo con il telaio in acciaio, la cui superficie era costituita dalle sculture di tutte le costellazioni zodiacali in bronzo fuse a cera persa e dorate; la sfera doveva avere un movimento rotatorio astronomico come quello dell’ asse terrestre.
La costruzione del monumento astronomico presentava non pochi problemi, e fu affidata alla fonderia Vignali di Firenze che iniziò la costruzione,

diretta dal fonditore-restauratore Bruno Bearzi.

Anche per Manship la creazione del modello era stata un’impresa non da poco.

L’opera venne terminata nel 1939: nell’Agosto di quell’anno la Celestial Sphere partì dalla fonderia di Firenze per Ginevra. Un trattore portava il carro ferroviario alla stazione.

L’opera venne istallata al centro di una vasca con l’acqua nella parte del parco vicino al Palazzo.

Il meccanismo di rotazione del monumento ha funzionato per poco tempo, e dopo poco la sfera si era bloccata. Le condizioni atmosferiche hanno presto alterato e abraso le dorature delle sculture. Le circa 1.000 stelline applicate sulle sculture si sono in parte staccate e perse.

Nel 2019 la direzione del Palazzo delle nazioni Unite aveva emesso un bando per restaurare l’ opera, ed aveva invitato i vari partecipanti a visitare la Sfera Celeste da vicino. Ferdinando Marinelli Jr., titolare dell’ omonima Fonderia Artistica di Firenze e della Galleria Pietro Bazzanti di Firenze, insieme allo specialista delle costruzioni in acciaio inox Carlo Lanaro,

hanno analizzato lo stato di degrado dell’opera iniziando a studiare i migliori sistemi di restauro per riportare la Sfera alla bellezza e funzionalità originali. Sono stati visti con chiarezza anche i danni che un maldestro restauro nell’anno 1983 aveva aggiunto a quelli dovuti alle intemperie (ossidazioni, solfatazioni, perdita delle dorature e del bolo sottostante, arrugginimento delle parti del telaio in acciaio, saldature improprie, etc.), come ad esempio il riempimento in cemento della base di bronzo, etc. Nel 2003 furono ridorate due delle sculture della Sfera per iniziare il restauro definitivo ma il progetto si interruppe.
Prima dell’ assegnazione del lavoro, la commissione delle Nazioni Unite ha chiesto di vedere e analizzare il precedente restauro che la Fonderia Ferdinando Marinelli aveva eseguito sulle sculture in bronzo della Fontana dei Tritoni di Valletta, Malta.


Un amico americano

Nel 1984 ho avuto la fortuna di incontrare a Firenze l’Architetto Dudi Berretti, in occasione della creazione della scultura in bronzoFontana dei Due Oceani” per San Diego in California. Un personaggio di una simpatia e squisitezza unica.

Siamo diventati subito amici. L’amicizia si è cementata quando sono andato, con l’altro amico scultore Sergio Benvenuti creatore del modello della fontana,

a montare le due statue a San Diego, ai piedi di un grattacielo costruito da una delle tante società di Patrick Bowlen, detto Pat.

Finito il lavoro, tornati a Firenze, per un lungo periodo non ho più avuto notizie dell’amico Dudi.
In tutte le frequenti pantagrueliche cene fatte con Sergio Benvenuti, grande mangiatore, ci si chiedeva dove fosse finito Dudi.

La risposta si ebbe ben sei anni dopo: una mattina del 2000 Dudi apparve in Galleria Bazzanti, col suo solito sorriso radioso. Baci e abbracci, subito a pranzo insieme; “chiama anche Sergio Benvenuti” mi disse. Dudi era nato a Fiesole, poco fuori Firenze, ma aveva studiato a Firenze. Dopo alcune libagioni buttò lì un’idea: siccome stava seguendo la costruzione di un nuovo stadio per la città di Denver in Colorado finanziato da Pat Bowlen, e siccome la squadra di Football della città era di proprietà di Bowlen, gli sarebbe piaciuto far eseguire un monumento a Firenze da sistemare fuori dello stadio.
Si era a pranzo in un palazzo quattrocentesco del centro, nel ristorante di una celebre antica famiglia produttrice di splendidi vini, al nostro tavolo le bottiglie vuote aumentavano rapidamente. Dudi cominciò allora a parlare di un colosso di bronzo tipo quello di Rodi, alto 40 metri che, a gambe larghe, facesse da ingresso delle macchine nel parcheggio dello stadio. Al dolce, una deliziosa zuppa inglese, si era arrivati a qualcosa di più probabile e realizzabile: una serie di cavalli della razza Broncos, che era il nome della squadra di Denver, di cui Pat Bowlen era presidente e proprietario. Tornai con Sergio in Fonderia, Dudi andò in hotel a dormire.
Il giorno seguente, altro pranzo: Dudi, Sergio ed io. Si andò a Monteriggioni, altro desinare lucculliano, altro vino.

Al caffè Sergio con le sue manone tolse di mezzo tutto quello che c’era sulla tavola, e aprì una cartella con una manciata di disegni che aveva fatto la notte: una serie di sette cavalli Broncos che correvano verso lo stadio risalendo il corso di un torrente. Dudi si illuminò di un sorriso raggiante, fece alzare Sergio e l’abbracciò. Poi guardò me e chiese “si può fare?” e quando risposi “certamente” abbracciò anche me e cominciò ridere di contentezza e esclamò “la fontana dei cavalli Broncos!”
Due giorni dopo Dudi era di nuovo a Denver con i disegni di Sergio per proporre la “fontana” dei Broncos.
Dopo altri due giorni Dudi mi chiamò intorno a mezzanotte, per lui era il primo pomeriggio, dicendomi di far fare un modellino piccolo dei cavalli e della fontana, e di telefonargli appena pronti. Sergio aveva una capacità scultorea eccezionale, e in mezza giornata aveva preparato il piccolo bozzetto in creta.

La settimana dopo Dudi era di nuovo a Firenze con l’architetto del paesaggio per esaminare in Fonderia, con Sergio, i bozzetti ingranditi della fontana.

Ne rimasero entusiasti;

e rimasero entusiasti anche dei pranzi di quei giorni.

Sergio Benvenuti iniziò a modellare in creta un cavallo grande dopo l’altro, di cui in Fonderia si facevano e si ritoccavano le cere, poi le fusioni ed i montaggi.

Durante l’esecuzione delle frequenti visite di Dudi, ogni volta accompagnato da un numero crescente di tecnici vari, felici di passare qualche giorno in Toscana, pranzi e cene erano il passatempo preferito da tutti.

Quando si iniziò l’imballo dei cavalli, arrivò in visita anche Pat Bowlen in tenuta hawaiana.

Poi ci trasferimmo tutti a Denver, io, mia moglie, Sergio Benvenuti e vari tecnici della Fonderia, per il montaggio delle statue dei cavalli, grandi una volta e mezzo gli originali, presso lo stadio.
Fummo accolti come dei capi di Stato: all’ufficio immigrazione, quando seppero che eravamo quelli “dei cavalli Broncos” ci fecero passare immediatamente: qualche dirigente della squadra aveva inviato in anticipo i nostri dati agli uffici competenti.

Il montaggio durò una decina di giorni

in cui Dudi ci accompagnò in visita al paese e, principalmente, in visita ai ristoranti migliori della città.

Finalmente la solenne inaugurazione.

Dudi rimase affascinato non solo dalla capacità di Sergio Benvenuti di modellare grandi fontane con soggetti richiesti dal cliente, ma anche dalle creazioni che il Benvenuti eseguiva per se: una serie di ballerine, spesso colorate, in varie pose di danza. Sergio era affascinato dal mondo della danza, e aveva portato Dudi nel suo studio in Chianti, dove le ballerine erano esposte fuse in bronzo dalla Fonderia Ferdinando Marinelli.
In poche ore, telefonicamente, insieme a Pat Bowlen Dudi organizzò in grandi ed eleganti tendoni a Denver nei pressi dello Stadio dei Broncos, una mostra delle ballerine di Sergio e di altre sue sculture. La mostra ebbe un gran successo, tanto che tutte le sculture esposte furono vendute in pochi giorni.

Alcuni modelli sono esposti presso la Galleria Bazzanti.

“Sotto il sole”

“Ballerina con blusa”

“Ballerina che salta la corda”

“Ballerina sui trampoli”

“Ballerina alla sbarra”

“The cat’s craddle”

“Ballerina a riposo”

“Merry go Round”

“Relax”

“Attesa d’Estate”

“Serenata”