La Fontana del Cacciucco

Da una lettera del 25 giugno 1626, che il Camerlengo Lorenzo Usimbardi scriveva al Granduca Ferdinando II de’ Medici:” appare che Pietro Tacca servo fedelissimo di VV.SS. humilissimamente esprime come avendo messo in opera tutti quanti li schiavi, per compimento di quest’opera è necessario far sotto i piedi del granduca Ferdinando di Gloriosa Memoria li trofei e spoglie di detti schiavi… et più conviene fare le dua fonti e dall’una e dall’altra parte di detta base che di tutto è necessario che VV.AA. dieno ordini al Sig. Provved[itore] Guidotti.”

Il Granduca nel 1621 aveva infatti commissionato a Pietro Tacca la realizzazione dei modelli e delle fusioni in bronzo a cera persa di quattro prigionieri mori incatenati da aggiungere alla base della statua da lui commissionata nel 1595 allo scultore Giovanni Bandini in marmo di Carrara e collocata nella darsena di Livorno nel 1601 (attuale piazza Micheli).

Il monumento avrebbe rappresentato la vittoria dell’Ordine di Santo Stefano sui corsari barbareschi, cioè sui pirati musulmani, nordafricani e ottomani, il più noto e crudele  dei quali era conosciuto come Barbarosa.

L’Ordine venne fondato dal Papa Pio IV nella seconda metà del ‘500 su insistenza di Cosimo I de’ Medici che ne fu nominato Gran Maestro e il titolo sarebbe passato ai suoi successori. Si trattava in sintesi di un Ordine corsaro simile, ma cristiano.

Pietro Tacca ereditò la fonderia del Giambologna, con cui lavorava dal 1592, nel 1606.
Nel 1620 su richiesta di Cosimo II dei Medici eseguì il calco del cinghiale ellenistico di marmo agli Uffizi per fonderne un replica in bronzo, il celebre Porcellino, da porre alle logge del mercato nuovo, e modellò una nuova base, non presente nell’originale di marmo. Ne eseguì la fusione nel 1633.

Da una lettera del 6 ottobre 1627 del Provveditore Leonardo Guidotti conosciamo la spesa stimata dal Tacca per la realizzazione delle due fontane: “Quanto alle dua fontane, il Tacca dicie che in ciascheduna di esse vi sarà di spesa sc[udi] 200 in fare il ricetto, e Balaustro con le mensole tutte di marmi sono sc[udi] 400. Per fare le dua Nicchie li Mostri et altri ornamenti vi andera Duc[ati] 700 di Bronzo per Ciascun,o sc[udi] 126 e per le spese di fatture e altri di dette nicchie e mostri, sc[udi] 400 luna sono sc[udi] 800.” Avuto il parere favorevole del Granduca, nel 1627 il Tacca, con l’ aiuto dei suoi allievi Bartolomeo Salvini e Francesco Maria Bandini, iniziò l’ esecuzione dei modelli per le due fonti da posizionare ai lati del monumento dei 4 Mori nella darsena di Livorno, e che dovevano servire per il rifornimento d’ acqua delle galere che vi approdavano.

Ma a questo punto accadde una cosa strana, descritta da Filippo Baldinucci nelle sue “Notizie de’ Professori di Disegno da Cimabue in qua” del 1681:
“[Ferdinando II dichiarò che] …ogni opera che [il Tacca] fusse per condurre dovesse essergli pagata…che fu poi sempre praticato, particolarmente nelle due fonti di metallo destinate a situarsi in sul molo di Livorno…per far acqua alle galere, al che essendosi, per ragioni a noi non note, forte opposto, e contro il gusto del Tacca, Andrea Arrighetti provveditore alle fortezze e sovrintendente alle fabbriche….”
E così fontane non arrivarono mai a Livorno.
Nonostante le “ragioni a noi non note” del Baldinucci è plausibile credere che le due fontane con quei getti minimi d’ acqua e anche la loro posizione erano del tutto inadatte a permettere ai marinai di caricare in tempi accettabili le grandi botti delle navi, ed inoltre occupavano troppo spazio sulla darsena rispetto al servizio che avrebbero fatto. Oggi diremmo che non erano affatto “funzionali”, e furono sostituite da normali fontane, come si vede (a destra del monumento dei 4 Mori) nell’ incisione del Porto di Livorno di Stefano della Bella del 1655.

Pietro Tacca morì nell’Ottobre del 1640, ma la fonderia, già del Giambologna, proseguì i lavori col figlio Ferdinando Tacca. L’esecuzione delle due fontane rallentò, ma non si fermò del tutto: abbiamo notizie di pagamenti ai Tacca per le fontane dal 1639 al 1641. I pagamenti riguardavano probabilmente la collocazione delle due fontane in piazza Santissima Annunziata a Firenze, inaugurate il 15 giugno 1641 come scrive Francesco Settimanni nelle sue Memorie Fiorentine: “si videro scoperte per la prima volta le due fontane in bronzo poste sulla piazza della santissima Annunziata, opere di Pietro Tacca.” Sono state incise insieme alla Piazza SS. Annunziata dallo Zocchi a metà del ‘700, e dal Vascellini nel 1777.

Nella scultura la prima metà del ‘600 risente ancora molto del manierismo tardo cinquecentesco del Buontalenti; celebre a Firenze la sua Fontana dello Sprone messa in opera molto probabilmente al 1608 quando tutta la zona venne decorata in occasione del passaggio del corteo nunziale di Cosimo II dei Medici con Maria Maddalena d’Austria (di cui la Galleria Bazzanti ha un modello piccolo) , così come furono collocate le 4 statue delle stagioni agli angoli del Ponte a Santa Trinita degli scultori Francavilla, Landini e Caccini.

Lo stile delle fontane, uguali salvo alcuni dettagli, deriva dalla passione delle forme meravigliose e inconsuete presenti in natura, iniziato nel ‘500 nelle architetture e nei giardini (come in quello di Villa Lante a Bagnania presso Viterbo),

nelle varie collezioni dei Signori europei, nella creazione delle wunderkammer, nell’invenzione appunto di maschere e mostri del Buontalenti e della sua scuola.

Sono gli anni in cui i principi d’Europa fanno a gara a raccogliere meraviglie e mostruosità naturali che conservano nei loro studi con lo scopo di stupire gli ospiti. E’ di gran moda anche l’alchimia, il cui laboratorio è bene sia nascosto e protetto dagli sguardi indiscreti, così come lo Studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio.
La scelta di creare mostri marini e pesci è stata evidentemente voluta dal Tacca pensando alla collocazione nel porto di Livorno, sul mare, mentre risulta ancor più originale in una piazza come quella della SS. Annunziata.
Quando il Tacca modellava le fontane si è molto probabilmente ispirato, per le ghirlande di pesci sulle basi, a quella della vasca della Fontana degli animali nella grotta della Villa Medicea di Castello, scolpita dal Tribolo alla metà del ‘500.

I due monumenti fiorentini hanno subìto una pulitura e restauro nel novembre del 1745 per ordine del Granduca Ferdinando III dei Medici. Un’altra più di due secoli dopo, nel 1988.

Si dice che la città di Livorno sia rimasta molto male fin dal ‘600 per non aver avuto le due fontane del Tacca. E che questo “sgarbo” sia pesato ai Livornesi per circa 3 secoli.
Nel 1956, per il 350° anniversario della nomina del primo Gonfaloniere della città di Livorno, il Comune di Firenze volle donare una copia fedelissima alla città. Livorno ringraziò e disse: ne vogliamo due come a Firenze, una la paghiamo noi! Come succede in tutti i comuni d’Italia, nacquero problemi e litigi su dove collocarle, etc. Agli inizi degli anni’ 60 il Comune di Firenze procurò il calco negativo eseguito sull’originale dandolo a Marino Marinelli, allora gestore della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze per eseguire fusioni dei due monumenti.

Fu così che nel 1964 le due fontane arrivarono a Livorno.

E furono immediatamente soprannominate dai Livornesi “le fontane del cacciucco”.
Il cacciucco è una specie di densa zuppa di pesce che viene preparata solo in un breve tatto della costa tirrenica, dalla Versilia a Livorno. Ed è squisito!

La Galleria Bazzanti conserva una replica della Fontana del Tacca tra i suoi monumenti, ed un prezioso modellino ridotto.


I due Ferdinandi

La Galleria Pietro Bazzanti di Firenze è stata acquistata dalla famiglia Marinelli nel 1960, famiglia proprietaria della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze. Ed è grazie ai “due Ferdinandi”, come viene narrato qui di seguito, che la Fonderia e della Galleria si sono incontrate ed unite.
Ferdinando Marinelli Senior scese, ai primi del ‘900, dall’Umbria a Firenze da ragazzino, per conoscere l’arte della fusione a cera presa che imparò nelle fonderie che fin dal XVI secolo, iniziando col Giambologna, se l’erano trasmesse di padre in figlio.

Nel 1919 rilevò la fonderia Gabellini di Rifredi (Firenze), trasformandola nella Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli.

Si sposò con Delia Gelli da cui ebbe due figli di cui il primogenito, Marino,

continuerà insieme al fratello Aldo l’attività fusoria.
Marino sposò Renee Naylor, e nel 1949, poco dopo che Ferdinando Marinelli Sr. insieme alla moglie Delia “passavano le acque” alle terme di Montecatini,

nacque Ferdinando Marinelli Jr.

Nel 1976 Marino è morto, e la Fonderia è passata a Ferdinando Jr.

La Fonderia era gestita da Ferdinando Sr. in maniera patriarcale, quasi una grande famiglia e aleggiava l’atmosfera di una bottega rinascimentale.

Ferdinando Jr. frequentava spessissimo la Fonderia, incantato dal lavoro degli artigiani, e come ogni bambino imparava al volo senza accorgersene quelle tecniche antiche. I materiali poi erano belli e strani e con nomi misteriosi, il gesso, la polvere di micio, il sapone mescolato all’olio, la cera, le colate, il loto, il fegato di zolfo, la lacca degli Angeli.

Per l’esecuzione dei calchi veniva usata una strana gomma che diventava semi pastosa a bagnomaria e che puzzava tremendamente, ottenuta mescolando la gelatina di ossa di coniglio con la glicerina: le resine siliconiche sarebbero state inventate una ventina di anni dopo. La cera che veniva spennellata dentro a questi calchi negativi era cera d’api (la paraffina adatta a questo tipo di lavoro non esisteva ancora), e mandava un profumo dolce buonissimo.

Ferdinando Jr. ebbe qualche difficoltà nel capire quella strana rete tridimensionale di bastoncini di cera con cui le cere venivano imprigionate,

il perché venivano rinchiuse in quel materiale refrattario che chiamavano “loto”, cioè mota

e poi messe a cuocere a lungo giorno e notte in quegli strani fornelli che venivano costruiti con mattoni e argilla direttamente sopra alle forme di loto.

La fusione era un atto quasi sacro, era difficile che ce lo facessero assistere, e quando capitava dovevo stare fermo e buono da una parte, pena pedate nel sedere. Il forno era una buca in terra riempita di carbone con un ventilatore che soffiava continuamente, in cui veniva inserito il crogiolo pieno di lingotti di bronzo. Occorreva qualche ora perché il metallo fondesse. La gettata veniva eseguita a mano, sollevando il crogiolo con più di 200 kg. di metallo a circa 1000 gradi facendolo colare con precisione dentro alle forme. Ferdinando Jr doveva stare a distanza perché se uno degli quattro operai che tenevano il crogiolo fosse scivolato, la massa di metallo fuso e incandescente sarebbe schizzata dappertutto.

Le forme di loto col bronzo dentro venivano spaccate a martellate per estrarne le fusioni.

E poi i bronzisti, alcuni con i capelli verdi per il rame, ognuno era un personaggio, gelosi dei loro ferri per cesellare.

Quando i saldatori si accendevano le sigarette tenute tra le labbra con la fiamma ossiacetilenica per saldare, Ferdinando Jr. scappava, convinto che si sarebbero fatti volatilizzare anche il naso.

Nel 1976, alla morte del padre Marino, Ferdinando Marinelli Jr. è diventato proprietario anche della Galleria Bazzanti, che, oltre a scolpire i suoi celebri marmi nei propri studi di Carrara e di Pietrasanta, commercializza le sculture in bronzo fuse nella Fonderia, in particolare le repliche dei classici antichi e rinascimentali, di cui possiede i calchi eseguiti in passato sugli originali da Ferdinando Marinelli Sr.


Sergio Benvenuti, un'amicizia artistica e una lunga storia americana - La Fontana dei Due Oceani a San Diego

Quando da bambino andavo a giocare in Fonderia trovavo spesso Sergio Benvenuti intento a creare qualche scultura monumentale, impiastricciato di creta; me lo ricordo facile a improvvise stizze quando la creta non gli ubbidiva subito sotto le mani, pronto, un attimo dopo a raccontare sorridente qualche aneddoto di scultori del passato.
Anche quando, negli anni dell’università ho smesso di frequentare la Fonderia, Sergio Benvenuti era ancora spesso lì, a scolpire.
E quando, a ventisei anni, alla morte del babbo sono stato catapultato in Fonderia, Sergio è stato il primo che è venuto a trovarmi per incoraggiarmi e per darmi la sua disponibilità. Siamo diventati amici di lavoro, la nostra collaborazione è cessata solo alla sua dipartita, ma anche amici di cene e serate. Tutti e due, con i nostri cari, siamo andati a vivere in Chianti, pochi chilometri di distanza.
Quando qualcuno commissionava alla Fonderia un’opera importante, immediatamente convocavo Sergio. E quando qualcuno commissionava una scultura di bronzo a Sergio immediatamente veniva da me in Fonderia, come accadde per la Fontana dei Due Oceani a San Diego, CA., USA, commissionata da Pat Bowlen.
Bowlen, presidente della Bowlen Holding Inc. decise di caratterizzare il nuovo grattacielo che stava costruendo a San Diego con un’Opera d’Arte che ne diventasse il simbolo e che fosse anche un elemento architettonico “forte” per la città. Bowlen ne parlò col suo più stretto collaboratore, l’architetto Dudi Berretti.

Immediatamente entrambi pensarono all’Italia, a Firenze, culla dell’arte e dell’irripetibile momento storico artistico che è stato il Rinascimento. Bowlen aveva studiato da giovane a Firenze, Dudi Berretti viveva e lavorava negli States da oltre trent’anni ma era fiorentino di nascita e d’adozione.
Poco dopo Dudi Berretti venne a Firenze e contattò la Galleria Bazzanti. Visitò anche la Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di cui aveva già sentito parlare negli Stati Uniti, e in Fonderia incontrò il Benvenuti. Gli raccontai del nostro rapporto di amicizia e di lavoro, della sua eccezionale capacità di ideatore e creatore di modelli, oltre che scultore dalle mani d’oro.
Si organizzarono delle cene, e fu proprio in una di queste cene, dopo che Dudi aveva parlato telefonicamente con Pat Bowlen, che nacque la nuova idea del monumento per il costruendo grattacielo di San Diego: una fontana con due personaggi frontali, maschio e femmina, virtualmente appoggiati al loro elemento generatore, una superficie d’acqua: la Fontana dei Due Oceani.
Dopo qualche giorno, in Galleria Bazzanti erano pronti i primi schizzi di Benvenuti che Dudi portò con sé negli States. Pat Bowlen e tutto lo staff ne furono entusiasti. Benvenuti passò al bozzetto in creta poi in gesso, anch’esso approvato dal committente.

Si studiarono gli ultimi dettagli e Benvenuti dette inizio, negli appositi locali della Fonderia, all’ingrandimento del primo dei due personaggi. Nel giro di alcuni mesi l’Oceano Pacifico era terminato in creta, nella grandezza stabilita.

Dopo la definitiva approvazione della Bowlen Holding Inc. iniziò il paziente lavoro della Fonderia: si eseguì con particolare cura il calco negativo della scultura in creta, da cui si ottennero le cere di cui lo stesso Benvenuti seguì il ritocco eseguito dagli artigiani della Fonderia. Si passò poi alla fusione in bronzo con l’antica tecnica della cera persa, alla rifinitura, al montaggio e alla patinatura.
Senza porre tempo in mezzo Benvenuti mise mano all’ingrandimento della seconda scultura, l’Oceano Atlantico. In otto mesi il lavoro incrociato di Benvenuti e della Fonderia trasformò l’idea nata durante una cena in un importante monumento di bronzo. Imballate in due grandi casse di legno le sculture, lasciarono via camion la Fonderia alla volta del porto di Livorno, dove partirono per San Diego, e successivamente trasportate in una tenda appositamente alzata nella piazza ai piedi del nuovo grattacielo. Poco tempo dopo, io, Benvenuti e i tecnici della Fonderia Ferdinando Marinelli e della Galleria Bazzanti raggiungemmo San Diego per il montaggio e l’inaugurazione del monumento.

A tutt’oggi la Fontana dei Due Oceani è un’ importante punto di riferimento urbanistico nella città molto ammirato e amata dai cittadini di San Diego, tanto da dedicargli alcune cartoline postali illustrate.


Fontana dei Tritoni a Malta - Parte II

Il restauro

La precedenza è stata data all’eliminazione delle colate di cemento armate eseguite al suo interno quando la fontana è stata montata alla fine degli anni ‘50 sulla base di travertino.
I tecnici maltesi pensavano così di “irrobustire” le sculture di ottone e di trovare un rapido sistema di bloccaggio delle stesse sulla base.
In realtà il cemento interno ha contribuito a “cuocere” il metallo ed a creare una fitta rete di crepe.

Dopo il collasso negli anni ’70 della fontana dovuto ad un uso improprio del sovrastante bacino in ottone, furono eseguite sommarie riparazioni per rimettere in opera alla meno peggio la fontana stessa.
In questa occasione vennero stuccate con materiale epossidico le pieghe, le rientranze e gli altri danni alla superficie esterna, dovuti al trauma. Il secondo lavoro di restauro è stato quello di eliminare tali stuccature e mettere in luce il reale stato delle sculture.

La dilatazione del cemento e la sua emissione di liquidi chimici ha reso la lega di ottone molto fragile frantumandola in vari punti. Inoltre la tecnica della fusione a cera persa è stata malamente rispettata creando zone di finissimo spessore.

Il lavoro è continuato con la puliture delle superfici tramite micro sabbiatura, permettendo anche l’eliminazione dei focolai di ossidazione e solfatazione e delle infiltrazioni calcaree dovute al cemento e all’acqua della fontana.

La fonderia napoletana ha lasciato sulle sculture la totalità dei “chiodi distanziatori” necessari per la fusione a cera persa, alcuni in ferro altri in rame. La loro reazione chimica (ossidazione e solfatazione) ha creato danni alla superficie delle sculture.
È stato necessario eliminare tali chiodi e allargare il foro lasciato dalla loro estrazione per eliminare del tutto i focolai di reazione chimica.

Da qui è cominciato il lavoro di consolidamento delle molte parti deteriorate, indebolite, rotte in più pezzi, e delle molte crepe nate nelle sculture, tramite saldature esterne ed interne alle sculture, lavoro complesso e delicato dato il pessimo stato del metallo.

Un lavoro particolarmente difficile e delicato è stato quello di ridare la forma originale al bacino, forma che aveva perso sia per la rottura e ripiegatura subita nel crollo del 1978, sia per le pessime riparazioni avute successivamente. Sono state costruite una serie di dime in acciaio con diversi gradi di curvatura che sono servite per ricreare l’esatta curvatura originale del bacino. Questo è stato tagliato in molti punti, riportato in forma e risaldato.
È stato importante ricreare la perfetta complanarità dell’intero bacino per permettere, una volta rimontato sulla fontana, la giusta ed eguale caduta dai bordi dell’acqua.

Le visite delle autorità maltesi si sono concluse con amichevoli pranzi.

Quando tutte le parti sono state consolidate e rinforzate, è iniziato il rimontaggio delle sculture.

E’ stato inserito nei tritoni uno scheletro interno in acciaio inox per scaricare sulla base della fontana il peso, in modo da non gravare sulle sculture. Lo scheletro è stato studiato in modo da permettere anche il passaggio al suo interno dell’acqua della fontana e dei cavi elettrici per l’illuminazione.

ed è stato progettato e costruito un telaio inox a raggiera per consolidare e per non gravare col peso dell’ acqua il bacino di ottone.

Solo a questo punto è stato possibile ricostruire la posizione e il cablaggio originali dei tritoni e del bacino, e preparare una serie di dime d’acciaio necessarie per rimontare l’intera fontana a Malta.

Si è proceduto con la patinatura delle sculture,

all’imballaggio,

al trasporto fino a Malta.

I tecnici della Fonderia Marinelli hanno applicato al pavimento della fontana le staffe in acciaio inox per il rimontaggio della fontana sulla sua base originale, montaggio eseguito grazie alle dime preparate in precedenza.

La Fontana montata a Malta (dettaglio).


Fontana dei Tritoni a Malta - Parte I

La storia

La fontana dei Tritoni è considerata dai maltesi il simbolo della Città di Valletta e dell’intera isola.

Venne modellata negli anni ’50 dallo scultore maltese Vincent Apap, e il sistema idraulico venne progettato dal suo aiutante Victor Anastasi.

La fusione a cera persa dei tre Tritoni e del bacino sovrastante fu affidata alla fonderia Laganà di Napoli che nel 1959 ne terminò il montaggio sulla base di Travertino.

Sopra al bacino venne installato un grande piano di legno trasformandolo in palcoscenico per ospitare spettacoli, tra cui nel 1978 una gara di motociclette che ne causò il collasso con la rottura del bacino e di parti dei Tritoni.

La fontana rimase rotta e inoperante fino al 1986, anno in cui si cercò di rimediare al grave danno applicando un pilastro centrale sotto il bacino, fatto modellare dallo stesso scultore Vincent Apap e fatto fondere a cera persa. Si cercò di raddrizzare nuovamente il bacino e di risaldare in posizioni errate le braccia rotte dei Tritoni.

Per cercare di riportare in piano il bacino, furono applicati tra le mani dei Tritoni e il bacino, dei cuscinetti di cemento.

L’intervento venne eseguito dalle officine meccanico-navali Malta DryDocks, ma il funzionamento della fontana rimase compromesso.

Il restauro

Nel quadro della riqualificazione urbanistica dell’intera “Triton Square” Il Governo di Malta ha richiesto uno studio sulla possibilità di un completo restauro della Fontana posta al centro della piazza.

Per il restauro delle sculture in bronzo è stata chiamata la Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze, e nell’Agosto e nel Settembre 2016 si sono tenute varie riunioni con tecnici ed esponenti del Governo Maltese,

ed alcune indagini tecniche per rilevare il danno che la fontana ha subìto nel 1978, con le successive approssimative riparazioni. La lega con cui sono stati fusi non è bronzo, come previsto, ma ottone, metallo più economico e deperibile del bronzo.

Smontaggio delle sculture e invio alla Fonderia Ferdinando Marinelli

È stata confermata la possibilità di smontaggio e trasporto alla Fonderia Ferdinando Marinelli in Italia delle sculture della fontana, per il restauro e la riparazione dai danni subiti in passato.
I tecnici della Fonderia in collaborazione con la Ditta Maltese Swaey Bros Ltd. hanno provveduto allo smontaggio e alla successiva spedizione dei bronzi alla Fonderia.
La parte inferiore di ogni tritone è stata suo tempo riempita con una colata di cemento che ha bloccato le sculture al solaio di base di cemento. Si è dovuto quindi tagliare in due parti ogni tritone e liberare la parte bassa dal solaio di base.
Si è cominciato con lo smontaggio del bacino

e quindi con quello del tronco centrale di sostegno.

Si è proceduto col taglio a metà di ogni tritone

E il successivo lavoro di distacco dal solaio di cemento di base che è dovuto continuare senza interruzione anche di notte per limitare la chiusura al traffico della piazza.

Arrivo dei bronzi alla Fonderia Marinelli

I bronzi smontati sono stati trasportati via mare e via terra fino alla Fonderia Marinelli a Barberino val d’Elsa, dove sono stati scaricati.

Sono iniziate le indagini chimiche dei prodotti di ossidazione e solfatazione della lega di ottone per rendersi conto di quale tipo di intervento fosse necessario per bloccare tali processi.


La Gipsoteca della Fonderia Ferdinando Marinelli e della Galleria Bazzanti

Il nostro tesoro, oltre alla capacità di lavoro artistico dei nostri artigiani, è quello della Gipsoteca Ferdinando Marinelli, conservata in capannoni a questa riservata, presso la Fonderia artistica.

La nascita della Gipsoteca Ferdinando Marinelli

Ferdinando Marinelli Senior, iniziatore nel 1905 della Fonderia Artistica omonima, ha eseguito i calchi negativi sui capolavori originali classici (Greci, Etruschi, Romani) e Rinascimentali.
Nei primi decenni del ‘900 Ferdinando Marinelli Senior ha avuto il permesso dalle varie autorità di eseguire i calchi di tali sculture direttamente sugli originali presenti nei musei, in alcune chiese e nelle piazze italiane.
In quegli anni era ancora possibile, alle persone accreditate per la capacità di eseguire calchi senza minimamente danneggiare i capolavori, ottenere l’autorizzazione.

La gipsoteca continua a crescere

La collezione di calchi originali è continuata ad arricchirsi con l’attuale proprietario Ferdinando Marinelli Junior: spesso Musei e autorità richiedono alla Fonderia di eseguire calchi su opere da conservare al chiuso e sostituire con repliche eseguite dalla Fonderia, concedendo l’uso di tali calchi. La capacità di lavorare, la cura e l’attenzione verso i capolavori su cui eseguire i calchi è pienamente riconosciuta alla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli da tutte le autorità e le direzioni dei musei italiani ed esteri.

Quando il Governo Italiano volle nel 1930 fare dono di una replica in bronzo del David di Michelangelo alla città di Montevideo, Uruguay, autorizzò Ferdinando Marinelli Senior ad eseguire il calco sull’originale conservato all’Accademia di Belle Arti di Firenze.

Bronzo per Mussolini

Il Museo del Louvre si spinse fino a Firenze per avere la replica in bronzo del Busto di Luigi XVI (Versailles, Parigi), eseguito da Gian Lorenzo Bernini nel 1665 durante il suo soggiorno a Parigi. Il bozzetto venne portato alla Fonderia Ferdinando Marinelli a Firenze per eseguirne il calco utile per tradurre in bronzo una replica destinata alla collezione privata di Benito Mussolini.

E’ grazie a questi calchi originali che la Fonderia Ferdinando Marinelli può eseguire le rinomate repliche fedelissime in bronzo, e scolpire nel proprio studio le repliche in marmo.


Un altro colosso di marmo: La replica dell'Ercole Farnese

Un’altra appassionante avventura è stata quella di scolpire in marmo il colossale Ercole Farnese del Museo di Napoli, statua greca del III secolo d.C., alto tre metri e 17 centimetri.

Si tratta di una delle poche sculture antiche firmata dall’autore: Glicone di Atene, come si vede inciso sulla base della clava.

Anche nella Grecia antica, e non solo a Roma, si amavano le repliche anche di dimensioni diverse dagli originali: infatti questo marmo è la replica ingrandita dell’originale in bronzo eseguito nel IV secolo a. C. dal celebre Lisippo, andata persa.
Ercole, simbolo della forza sovrumana, e infatti era un semidio, è rappresentato con una anatomia potente, quasi esagerata. Suoi attributi sono la pelle del leone Nemeo, mandato da Era (Giunone) per uccidere Ercole. La sua pelle era inattaccabile da lance e frecce, ma Ercole lo stordì con la clava (a cui si appoggia nella scultura) e poi lo strangolò. Usò la sua pelle per farsi una specie di abito che lo rendesse invulnerabile che, nella scultura, ciondola sulla clava.
Questi accessori sono stati usati dallo scultore per creare un grosso sostegno a cui l’Eroe si appoggia: sarebbe stato infatti impossibile far sostenere la sua massa corporea di marmo, per di più inclinata, soltanto sulle due caviglie.

I restauri rinascimentali

Il colosso è stato scavato nelle Terme di Caracalla a Roma alla metà del ‘500, privo dell’avambraccio sinistro e delle gambe.
La filosofia del restauro in epoca rinascimentale era generalmente quella di ricreare le parti mancanti delle opere antiche, in modo da ricomporne la presunta integrità. Era molto difficile per chi aveva una mentalità più “scientifica” convincere i proprietari delle opere archeologiche a lasciarle così com’erano state trovate, senza integrazioni. Si pensi per esempio ai gemelli Romolo e Remo aggiunti nel rinascimento alla Lupa Capitolina probabilmente da Antonio del Pollaiolo.
Riuscì forse solo a Michelangelo con il Torso del Belvedere in marmo del I secolo a. C. (dello scultore greco Apollonio), trovato mutilo a Roma nel ‘400.

Sembra infatti che quando il Papa Giulio II si rivolse a Michelangelo perché riscolpisse le parti mancanti, quest’ultimo si rifiutasse dichiarando che la scultura era magnifica così e che non doveva essere assolutamente toccata. Mentre invece non ebbe molti problemi nel riscolpire le gambe mancanti dell’Ercole Farnese il suo allievo Guglielmo della Porta, accontentando il committente Papa Paolo III (Alessandro Farnese) tanto che, anche quando furono scavate le gambe originali, decise di lasciare al monumento quelle del Della Porta, giudicate più belle delle originali stesse.

La scultura è stata eseguita nello Studio Bazzanti “ai punti” grazie al modello preso sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli.

Il difficile trasporto

Il colosso di 5 tonnellate è stato imballato allo Studio di Scultura.

La fase successiva è stata complessa quasi quanto l’aver scolpito l’Ercole! Si è trattato infatti di far entrare in orizzontale il colosso nella Galleria Bazzanti di Firenze per poi metterlo in piedi nel posto giusto. Avendo dovuto far chiudere al traffico il Lungarno, l’operazione si è svolta di notte


Il restauro al Cremlino

Nel 1933 Stalin trasformò due meravigliosi saloni delle feste del Cremlino, le sale di Sant’Andrea e Sant’Alessandro, in stanzoni per le riunioni del PCUS, distruggendo gli arredamenti e le fastose decorazioni originarie.
Quando siamo stati chiamati nel 1998 per il loro restauro completo abbiamo trovato due saloni semivuoti con i muri di mattoni a vista, e il pavimento di cemento grezzo.
Occorreva riportarli all’antico splendore, e in poco tempo.

Il Lavoro

L’appalto è stato vinto da un gruppo di artigiani fiorentini capitanati da Sauro Martini e Fiorenza Bartolozzi, tra cui, per il restauro e la realizzazione con fusioni in bronzo degli apparecchi di illuminazione, la Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli; per il restauro e nuove creazioni dei lavori in marmo la Galleria Bazzanti.
Si è trattato di ricreare, da disegni approssimativi, tutti i modelli delle sculture, dei giganteschi lampadari e appliques ed un camino di marmo, e poi realizzarli in bronzo e in marmo. È stata un’avventura complessa ma affascinante, che ha messo a dura prova tutti gli artigiani fiorentini che hanno contribuito alla splendida realizzazione del restauro.

Il lavoro è andato avanti tra molte difficoltà, i disegni fornitici dai militari russi erano approssimativi, alcuni addirittura irrealizzabili, e le commissioni che venivano in visita in Italia erano sempre diverse ognuna con le proprie idee e richieste. Quello che doveva essere un restauro si è rivelato in realtà una vera e propria ricostruzione da zero.
Tra le molte sculture che ci hanno ordinato ricordiamo l’Aquila Bicipite e la Croce di Sant’Andrea, che sono andati a sostituire i bassorilievi con falce e martello. Sono stati eseguite anche le basi in bronzo dorato dei mastodontici pilastri.

I mastodontici lampadari che dovevamo creare dai disegni sono a tre cerchi sovrapposti con centinaia di luci e decorazioni,

le appliques da muro sono gigantesche,

il camino particolarmente elaborato.

Il montaggio è stato lungo ma il risultato magnifico.


La Galleria Bazzanti dei Romani Antichi

Il desiderio di decorare la propria abitazione con repliche di capolavori del passato, è una moda presente fin dall’epoca romana. I Romani infatti amavano eseguire copie delle sculture greche, spesso “invertendo” i materiali: statue in marmo venivano riprodotte in bronzo, e viceversa. Una buona parte delle sculture greche sono da noi conosciute grazie proprio alle repliche di Roma antica.
Un esempio particolare è quella del colossale Ercole Farnese scolpito in bronzo dal greco Lisippo nel IV sec. A.C., e replicato in marmo nel I sec. A.C. probabilmente da una bottega romana che l’ha firmato col nome del greco Glicone falsificandone l’attribuzione.

Sappiamo che a Roma esistevano botteghe e gallerie d’arte con tali copie in vendita; nella seconda metà del XIX secolo il pittore olandese Alma Tadema ha immaginato proprio due di queste gallerie della Roma antica.

La moda di eseguire repliche di capolavori antichi è continuata nei secoli, fino ad oggi. Gli esempi sono molti, a cominciare dal “Porcellino” di Firenze, la fontana bronzea del cinghiale fatta calcare nel ‘500 al Tacca dai Medici su un marmo antico e riprodurre in bronzo (Vedi anche “Il Porcellino di Firenze“).
Altri esempi sono la Diana Cacciatrice del Museo del Louvre, copia romana di un originale in bronzo greco, attribuito allo scultore Leocare (325 a. C. circa) andato perduto. Ne venne fatto un calco e da cui nel 605 venne fusa una replica in bronzo per una fontana della reggia di Fontainbleau;

replica in bronzo alla Galleria Bazzanti da calco originale;

l’Apollo Belvedere dei Musei Vaticani, anche questa copia romana di marmo del II sec. a.C. del bronzo greco di Leocares del 350 a.C., calcato e fuso da Francesco Primaticcio nel 1541 per il Castello di Fontainebleu; replica in bronzo alla Galleria Bazzanti da calco originale;

il gruppo dei Lottatori, anch’esso copia marmorea romana del I sec. a.C. del perduto originale greco di bronzo del III sec. a.C., probabilmente di Lisippo;

replica in bronzo alla Galleria Bazzanti da calco originale;

il Marte Ludovisi della Galleria Borghese, copia romana di un originale greco del 320 a.C. circa attribuito a Scopa o a Lisippo. Venne ordinato il calco da Velasquez per farne una copia richiesta nel 1650 da Filippo IV re di Spagna.

replica in bronzo alla Galleria Bazzanti da calco originale;

È interessante vedere come anche Michelangelo sia stato ”replicato” a pochi anni dalla sua morte: nel 1570 Egnazio Danti, celebre matematico e cartografo, ottenne l’autorizzazione dal Granduca Cosimo I dei Medici di eseguire i calchi delle 4 figure in marmo scolpite da Michelangelo per le tombe medicee: Alba, Tramonto, Giorno e Notte.
Nel 1573, sei anni dopo la morte di Michelangelo il calco fu eseguito dal fratello Vincenzo Danti, che era stato a Roma a studiare le opere del grande Maestro. E fece i calchi sui modelli originali in creta che Michelangelo aveva creato come modello per i quattro marmi, che evidentemente non erano andati distrutti. Tali calchi poi vennero portati all’Accademia di Perugia.

La Galleria Bazzanti possiede le fusioni in bronzo della Fonderia Ferdinando Marinelli tratte dai calchi originali di Vincenzo Danti.

Nella seconda metà dell’800 i pittori della corrente caratterizzata dalla ricostruzione di scene di vita della Grecia e di Roma antica hanno contribuito a rinverdire la moda degli arredamenti classici già presente nel Rinascimento.


La Porta di Liviu

Un incontro fortuito

Nel 2013 la Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli, insieme alla Galleria Pietro Bazzanti, ha organizzato insieme all’amico Avvocato Federico Frediani una mostra di sculture in bronzo all’ Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles

In quell’occasione è stato invitato a passare due giorni nella villa di amici di Federico a Malibù. E lì, a pranzo, dopo che Ferdinando aveva cucinato un mediocre risotto, ha fatto la conoscenza del dottor Liviu Eftime e della moglie Adina. Due personaggi, come del resto tutta la compagnia, amanti d’arte. Il Dott. Liviu è anche un eccezionale pittore, la moglie è scrittrice. Nasce una piacevole amicizia. Liviu accenna ad una sua costruenda nuova villa per cui vorrebbe scolpire e fondere delle porte in bronzo.

L'inizio della collaborazione

Alla fine del 2017 una serie di telefonate tra Los Angeles e Firenze: Liviu sta creando in creta i modelli della sua porta, ci chiede come eseguirne i calchi negativi e come spedirli in Fonderia a Barberino val d’Elsa. A Marzo 2018 manda le foto del suo lavoro.

Ad Aprile 2018 i calchi negativi arrivano in fonderia. Pochi giorni dopo arriva in Fonderia anche Liviu e viene a trovarci l’amico Federico Frediani. Si va subito a mangiare in campagna.

Il lavoro

Durante le sue visite in Toscana Liviu segue da vicino il lavoro della Fonderia, ritoccando le cere; sostiene infatti che l’opera d’arte non è mai finita, e in ogni fase di lavorazione vuole apportare delle variazioni e modifiche, così come Leonardo da Vinci faceva sul dipinto della Gioconda, che si portava sempre dietro nei suoi viaggi e che ritoccava continuamente.

Le cere vengono ricoperte di materiale refrattario (il loto) e le forme di loto vengono cotte nelle fornaci.

La lavorazione delle formelle appena fuse viene eseguita dagli artigiani della Fonderia insieme a Liviu.

Le formelle vengono saldate e montate per formare le due ante della porta a cui segue un meritato pranzo.

Nel gennaio del 2019 Liviu torna in Italia in Fonderia per il collaudo definitivo, e si festeggia con un altro pranzo.

Le ante, patinate, in attesa dell’imballo e della spedizione a Laguna Beach.