Giambologna e il Ratto delle Sabine

Parte I

Hendrick Goltzius, Ritratto di Giambologna

La scultura più grande della Loggia dei Lanzi in Piazza della Signoria è il Ratto delle Sabine del Giambologna. Il poderoso ma slanciato David di Michelangelo posizionato nelle vicinanze della Loggia davanti al Palazzo Vecchio lì vicino, supera i cinque metri di altezza, e sicuramente è stato di stimolo affinché anche Giambologna creasse un’opera monumentale alta 4,10 metri.

Il Ratto delle Sabine sulla base nella Loggia dei Lanzi

Particolare delle sculture

Si tratta di tre personaggi intrecciati dove un giovane Romano rapisce una delle donne Sabine tenendola in alto mentre blocca tra le gambe un vecchio impaurito e disperato. Lo stile classico con cui Giambologna scolpisce l’opera è in accordo con il mito del “Ratto delle Sabine” secondo cui il Romolo fondatore di Roma rapisce con l’inganno le donne della vicina regione Sabina per procreare e popolare la neonata città.

Giambologna, scultore in marmo

Nonostante che il Giambologna preferisse eseguire modelli in creta da far fondere in bronzo a cera persa, ha eseguito in un unico blocco monolitico di marmo l’ opera che presenta grandi masse e vuoti disposti asimmetricamente pur mantenendo concentrato il peso ideale e reale in basso; ha saputo dare all’ insieme delle figure una torsione ad “S” che permette al monumento di avere la caratteristica innovativa della tridimensionalità; è infatti stato eseguito per essere collocato al centro di uno spazio dove poterlo guardare da tutte le parti, come sosteneva anche Michelangelo:

figura piramidale, serpentinata e moltiplicata per ono, doi e tre […] imperocchè la maggior grazia e leggiadria che possa avere una figura è che mostri il muoversi, il che chiamano i pittori furia della figura […] e per rappresentare questo moto non vi è forma più accomodata che quella della fiamma del foco […] si che, quando la figura avrà questa forma, sarà bellissima,

come infatti ci riferisce Giovanni Paolo Lomazzo nel suo “Trattato dell’ Arte della Pittura” del 1585.

La scultura è terminata

Giambologna terminava l’esecuzione dell’opera nel 1583. Gli era stata commissionata dal Granduca Francesco I dei Medici, come si deduce da una lettera che Simone Fortuna scrive al Duca di Urbino il 17 ottobre 1581 in cui lo informa che presto uscirà fuori un gruppo di tre statue opposto alla Giuditta di Donatello nella loggia dei Pisani [la Giuditta era allora posta nella Loggia dei Lanzi].
La scultura è stata firmata con la scritta “OPVS IOANNIS BOLONII FLANDRI MDLXXXII” [opera di Giovanni de Boulogne della Fiandre, 1582].

Ritratto di Francesco I de’ Medici di Scipione Pulzone, 1590, Galleria degli Uffizi

Il significato della scultura e il Granduca di Toscana Medici

Il Granduca Ferdinando I dei Medici trovò l’ opera bellissima e, come scrive Raffaello Borghini nel suo “Il Riposo” del 1584, la volle far porre nella Loggia dei Lanzi.
E’ curioso come Giambologna scriveva il 13 giugno 1579 al Duca di Parma Ottavio Farnese che con questa opera voleva “dar campo alla saggezza et studio dell’ arte“, esprimere cioè la forza dell’ amore del giovane innamorato, la bellezza della donna amata, e la disperazione del vecchio marito. E grazie allo stile scultoreo classico la nudità non offendeva la sensibilità della Riforma Cattolica. Niente a che fare, comunque, col “Ratto delle Sabine”.

La scultura diventa "Ratto delle Sabine"

Ma Raffaello Borghini conferma che in origine Giambologna voleva scolpire tre figure che interagivano in movimento tra loro, e che però fece cambiare idea allo scultore, e infatti scrive:

gli fu detto, non so da cui, che sarebbe stato ben fatto, per seguitar l’ istoria del Perseo di Benvenuto [opera di Benvenuto Cellini presente sotto la Loggia dei Lanzi] che egli avesse finto per la fanciulla rapita Andromeda moglie di Perseo, per lo rapitore Fineo zio di lei, e per lo vecchio Cefeo padre d’ Andromeda. Ma essendo un giorno capitato in bottega di Giambologna Raffaello Borghini, et avendo veduto con suo gran diletto questo bel gruppo di figure et inteso l’ istoria, c he doveva significare, mostrò segna di maraviglia, del che accortosi Giambologna, il pregò molto che sopra ciò gli dicesse il parer suo, il quale gli concluse che a niun modo gli desse tal nome alle sue statue; ma che meglio vi si accomoderebbe la rapina delle Sabine; la quale storia essendo stata giudicata a proposito, ha dato nome all’ opera.

Il calco in gesso

Giambologna eseguì, come usavano fare quasi tutti gli scultori, un modello in creta o in terra cruda, che fortunatamente non è andato distrutto e che è conservato all’ Accademia di Firenze.
Dal modello in creta, che una vota asciutto era particolarmente fragile e friabile, veniva normalmente tratto un positivo in gesso, più resistente della creta cruda, usato come riferimento per scolpire in marmo l’ opera. Un modello in gesso, probabilmente l’originale del Giambologna, è stato reperito ai primi del ‘900 da Marino Marinelli padre di Ferdinando Marinelli Jr.

Accademia del Disegno, modello originale in terra cruda

L'aiutante Pietro Francavilla

Uno degli aiuti dello studio del Giambologna per la scultura in marmo della mastodontica opera fu Pietro Francavilla (nome italianizzato di Pierre de Franqueville) che vi lavorò fin dal 1574.
Quando il titolo di Ratto delle Sabine divenne definitivo, Giambologna eseguì un bassorilievo in bronzo da apporre alla base che facesse capire il soggetto del monumento, così come aveva fatto il Cellini per la base del Perseo.

Particolare placca bronzo Ratto delle Sabine Giambologna


Michelangelo e il David - Parte III

Il Capolavoro e la sua storia

L'esecuzione

Non ci sono arrivare notizie su come Michelangelo abbia lavorato per arrivare al David finito. Sappiamo solo che il blocco che gli venne affidato era già stato malamente sbozzato da altri per eseguire un profeta gigante da porre sugli sproni del Duomo, senza essere mai terminato.
Michelangelo riuscì tuttavia a “tirare fuori” dal blocco il David, una delle meraviglie del Rinascimento, di proporzioni perfette.

Normalmente gli scultori seguivano (e in qualche studio di scultura seguono tutt’ora) un particolare iter, che anche Michelangelo avrebbe seguito se il blocco di marmo fosse stato vergine, che consisteva in varie fasi:

la prima era la visita alla cava di Marmo di Carrara, in questo caso la cava Fontiscritti, per cercare e scegliere il blocco adatto alla scultura da compiere; il blocco doveva essere di marmo bianco senza venature e senza crepe visibili né tantomeno nascoste. Solo cavatori e scultori con grande esperienza riuscivano a capire, dall’ esterno del blocco, come questo si presentasse all’interno.

Una volta trovato il blocco perfetto lo scultore schizzava su tutti i suoi lati, a matita nera o a sanguigna, i volumi che avrebbe avuta la scultura finita, chiedendo poi al cavatore di sagomare grossolanamente il blocco togliendo quelli non necessari.

Disegni di Michelangelo per i cavatori del marmo, con le indicazioni per la prima sbozzatura dei volumi

Il blocco, portato dalla cava al porto su carri trainati da alcune pariglie di bovi, veniva caricato su un navicello robusto che, nel caso di Firenze, risaliva l’ Arno dalla foce presso Pisa fino ad un porto vicino alla città, normalmente il porto di Signa. Qui veniva nuovamente caricato su un carro trainato da bovi e portato allo studio dello scultore. Per il blocco affidato a Michelangelo, la fase della scelta del marmo e del trasporto nella corte dell’ Opera del Duomo di Firenze non fu seguita da Michelangelo ma da altri.

Trasporto del blocco di marmo al porto

I Navicelli

Carico dei blocchi di marmo su un navicello

Nonostante quanto abbia fatto scrivere al Condivi per la sua autobiografia, dove Michelangelo afferma di aver sempre affrontato il marmo direttamente senza né disegni né bozzetti né modelli in creta, normalmente anche lui, come gli altri scultori, eseguiva tutto quanto sopra.

Per capire il lavoro necessario per la realizzazione di una scultura in marmo, possiamo seguire la creazione di una replica in marmo in grandezza originale del David. Invece che il modello in creta presumibilmente modellato da Michelangelo viene adoprato un modello positivo in gesso eseguito dal calco negativo tratto sull’ opera originale.

Questo viene posizionato accanto al blocco di marmo.

Il modello posto accanto al marmo da scolpire

Si esegue un primo sbozzo dei volumi.

Il primo sbozzo

Si usa ancora l’antico sistema del pantografo manuale, chiamato nel gergo degli scultori macchinetta, sistema praticato già dagli scultori Greci e Romani. Consiste nel riportare sul marmo grezzo dei punti tridimensionali presi sul modello di gesso. Maggiore è il numero dei punti riportati e maggiore è la fedeltà della scultura in marmo.

La scolpitura ai punti con il pantografo chiamato “macchinetta”

La scolpitura ai punti con il pantografo chiamato “macchinetta”

La scolpitura ai punti con il pantografo chiamato “macchinetta”

La scolpitura ai punti con il pantografo chiamato “macchinetta”

La scolpitura ai punti con il pantografo chiamato “macchinetta”

La scolpitura ai punti con il pantografo chiamato “macchinetta”

La scolpitura ai punti con il pantografo chiamato “macchinetta”

In questo modo si procede a eliminare strato dopo strato il marmo in eccesso avvicinandosi sempre di più al modello, e la scultura va avanti per strati fino a quando l’ opera non è perfettamente uguale all’ originale.

Ci si avvicina all’originale togliendo strato dopo strato

Ovviamente quando lo scultore esegue una sua scultura crea dei modelli in creta con pochi dettagli, che scolpirà invece direttamente sul marmo.

Quando tutti i volumi sono terminati, che per la replica significa che sono identici all’ originale, inizia il lavoro di lisciatura e rifinitura delle superfici eseguito con speciali lime e carta smeriglio; Michelangelo spesso lavorava anche le superfici delle sue opere con gradine (scalpelli) sempre più fini, lasciando volutamente a vista i relativi segni.

Lisciatura e rifinitura terminati


La Fontana del Nettuno di Piazza Signoria e le "Naiadi" in bronzo

Il Duca Cosimo I aveva dato l’incarico di far erigere la fontana del Biancone all’angolo nord-est di Palazzo Vecchio, in modo che la figura centrale del Nettuno fosse in linea con le altre grandi statue del David di Michelangelo e di Ercole e Caco del Bandinelli.

Piazza della Signoria, Firenze

Il progetto per una fontana in Piazza della Signoria viene citato per la prima volta in una lettera del Bandinelli a Jacopo Guidi del marzo 1550.
Nel 1559 Vasari si reca a Roma e propone il progetto dell’Ammannati, in cui il Nettuno ha le braccia alzate, a Michelangelo.

Anonimo, progetto per la Fontana di Piazza, 1560, Louvre, Recto Anonimo, progetto per la Fontana di Piazza, 1560, Louvre, Verso Ricostruzione del progetto per la Fontana di Piazza dal disegno anonimo del Louvre

Come si vede anche su di una medaglia di Pier Paolo Galeotti del 1565 relativo al progetto della fontana il Nettuno ha effettivamente le braccia alzate.

Medaglia di Cosimo I, Pier Paolo Galeotti del 1556-1567, Bargello

Con l’assenso di Michelangelo fu facile convincere Cosimo I ad assegnare l’incarico della fontana all’Ammannati (anche perché il Bandinelli era morto nel 1560) che dette una veloce occhiata al progetto del Cellini ma senza guardare nemmeno i progetti degli altri concorrenti quali Giambologna, Danti (e forse Vincenzo de’Rossi e Simone Mosca).
Il Nettuno in marmo fu eseguito con le braccia abbassate: anche così l’Ammannati non lo scolpì in un blocco unico ma più parti di marmo unite.

Jacques Callogt, Piazza della Signoria, 1617, Hessisches Landesmuseum, Darmstadt, particolare Jacques Stella, acquaforte, La Fontana del Nettuno, 1621, dettaglio, Uffizi
Anonimo, La Fontana del Nettuno, inizio XVII sec. Depositi Palazzo Pitti, dettaglio Anonimo, disegno, veduta di Piazza Signoria, secolo XVII
Lasinio, incisione, veduta di Piazza Signoria, secolo XVII Giuseppe Zocchi, Piazza della Signoria, prima metà del XVIII secolo

Cosimo I volle che gran parte della vasca e delle decorazioni di marmo venissero eseguite col marmo “Mischio di Seravezza” dalle inclusioni violette, cava di sua esclusiva proprietà ed uso.

La vasca in marmo Mischio di Seravezza

Ai quattro angoli della vasca di marmo furono poste quattro figure in bronzo, due Satiri e due Naiadi (in realtà sono Nereidi, ninfe del mare); e infatti Domenico Mellini (1566) parla di Nereidi, Raffaello Borghini (1584) scrive che “le due femmine” erano figurate per Teti e per Dori.
Teti ha infatti come attributo uno scudo, con riferimento al dono che ne fece al figlio Achille. Gli attributi dell’ altra Nereide (Doride), oltre al delfino, una buccina e un diadema da regina, la identificano come Anfitrite sposa di Nettuno e quindi regina del mare.

La fontana del Nettuno, Piazza della Signoria, Firenze

Hydria attica a figure nere, Teti dona ad Achille lo scudo eseguito da Efesto, 575-550 a.C., Louvre

Teti Doride

Sono rielaborazioni manieristiche delle due divinità marine che sembrano ispirarsi nelle proporzioni alla scuola di Fontanebleau di cui erano diffuse al tempo dell’ Ammannati molte incisioni: in particolare il celebre scudo di Achille descritto da Omero nell’ Iliade è del tutto simbolico, presenta infatti una battaglia generica in bassorilievo condotto con stile rapido, di grande spontaneità e in alcuni punti appena accennato.

Disegno dello scudo d’Achille secondo la descrizione di Omero (Iliade, XVIII, 478-608)

Teti con scudo Teti, particolare dello scudo

Se in passato l’esecuzione delle due Nereidi, ribattezzate poi “Naiadi”, era stata attribuita a vari scultori manieristici, e in particolare al Giambologna, la critica da tempo le ha attribuite all’ Ammannati, cosi come anche i due Satiri.

Le repliche della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli

Per la visita di Hitler a Firenze del 1938 furono ordinati interventi di pulitura e restauro in particolare dei bronzi presenti in Piazza Signoria, seguiti da podestà Paolo Venerosi Pesciolini e curati dall’architetto comunale Alfredo Lenzi. Furono cosi ripuliti da Ferdinando Marinelli Sr., fondatore dell’omonima Fonderia Artistica; in quella occasione il Marinelli chiese ed ottenne il permesso di eseguire calchi negativi direttamente sugli originali.
Quei calchi sono passati poi al nipote Ferdinando Marinelli Jr. grazie quali sono state eseguite le copie identiche delle “Naiadi” ammannatesche esposte nella Galleria Bazzanti sul Lungarno Corsini.

Visita di Hitler a Firenze, Piazza S.Croce

Visita di Hitler a Firenze, Piazza Signoria

Replica delle due Naiadi fuse dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli, in vendita presso la Galleria Bazzanti di Firenze


Michelangelo e il David - Parte II

Il Capolavoro e la sua storia

La Storia

Michelangelo ebbe una vita splendida ma anche molto difficile, di cui si è spesso lamentato: gli scoramenti per la fatica di corpo, per mancanza di amici di nessuna sorta, per le crisi politiche e religiose, per l’ estrema avarizia verso di sé e gli altri (ma non con i familiari verso cui si sentiva in colpa) tanto da fuggire da Firenze mentre dirigeva i lavori di fortificazione per il vicino assedio della città, per la paura di vedere il proprio danaro preso per sostenere le spese della guerra, dalla passione senile per il giovane e bellissimo Tomaso Cavalieri, all’ amore spirituale per Vittoria Colonna.

Michelangelo, ritratto, Daniele da Volterra Tommaso dei Cavalieri, Michelangelo, Musée Bonnat, Bayonne Vittoria Colonna, Sebastiano del Piombo, Museo Naz. d’arte della Catalogna, Barcellona

Contemporaneamente la sua arte è stata ammirata e venerata immediatamente presso i suoi contemporanei, affascinava i grandi personaggi suoi committenti, gli storici, i suoi discepoli e gli artisti contemporanei e successivi. La sua vita venne scritta dai biografi Giovio, Vasari, Condivi mentre era ancora in vita. Fu ammirato dal Cellini, dal Tintoretto, dal Buontalenti, dal Greco.

Giorgio Vasari, Autoritratto Paolo Giovio, Cristofano dell’Altissimo, Ufffizi

Il suo stile scultoreo è lo spartiacque tra il Rinascimento, di cui è il frutto maturo, e l’ inizio del Manierismo. Nell’ uso spregiudicato del “non finito” Michelangelo porta per la prima volta nella scultura una modernità impressionante, sia non ricercato come nelle opere effettivamente non potute o volute non terminare, sia dove l’ ha adoprato nelle opere in cui volutamente zone non finite appaiono accanto a zone finite e lucidate.
Sono state fatte molte ipotesi per spiegare il significato di questo modo di scolpire, e ancora la critica non è concorde. Rimane il fatto che crea delle sensazioni ed emozioni profonde nello spettatore.

Michelangelo, Tondo Taddei, Royal Academy, Londra Michelangelo, Pietà Bandini, 1550, dettaglio, Opera del Duomo di Firenze

Il David

Michelangelo quando dettava la sua autobiografia al Condivi, ha voluto evidenziare che ha sempre fatto tutto da solo senza aiuti, perfino gli affreschi della Cappella Sistina, e anche da solo dichiara di non essersi mai servito dei normali metodi che gli scultori hanno sempre usato: non ha lasciato quasi nessun disegno preparatorio per le sue sculture, avendoli bruciati tutti prima di morire, non ha mai fatto modelli in creta, anche se esiste un suo modello in creta e cera in grandezza naturale all’ Accademia delle Arti del Disegno.

Modello in creta divinità fluviale, Michelangelo, 1524, Accademia delle Arti del Disegno

Per il David la situazione in cui si è trovato Michelangelo è stata diversa, il blocco di marmo era già stato sbozzato anche se malamente. Michelangelo ha dovuto pensare la forma del suo David costretto dallo sbozzo esistente. E’ stato capace tuttavia di eseguire anche con queste difficoltà il suo forse più grande capolavoro.

David è il giovane eroe biblico che sfidando a duello il gigante guerriero Golia lo uccide con un sasso scagliato con la fionda e lo decolla poi con la spada, facendo vincere l’ esercito israeliano guidato dal re Saul contro quello dei Filistei.
Michelangelo lo scolpisce con ancora il sasso da scagliare, Golia è ancora vivo; nei due David di Donatello, quello in marmo e quello in bronzo, Golia è stato ucciso e la sua testa è stata mozzata, nel bronzo appare anche la spada, altrettanto in quello del Verrocchio.

Donatello, David, 1408, Bargello Donatello, David, 1440, Bargello Verrocchio, David, 1469, Bargello

La Repubblica fiorentina era guidata anche se indirettamente dalla famiglia dei Medici, che ha sempre trovato prudente evidenziare ed insistere sulla libertà dalla tirannide.
Già nel 1416 la Signoria di Firenze aveva acquistato il David di marmo che Donatello aveva scolpito nel 1408 collocandolo nella Sala dell’ Orologio di Palazzo Vecchio, simbolo di libertà contro qualunque dittatore. Ai piedi aveva scolpita la scritta Pro patria fortiter dimicantibus etiam adversus terribilissimos hostes Dii prestant auxilium, cioè Gli dèi danno sostegno a coloro che combattono vigorosamente per la patria anche contro i più temibili nemici.
Anche Cosimo il Vecchio volle per il suo cortile di Palazzo Medici in via Larga la statua di un David di bronzo per sottolineare come anche i Medici fossero fautori della libertà contro la tirannia, e la chiese a Donatello il quale scolpì un David più paganeggiante e nudo che sappiamo essere stato nel 1469 nel suo Palazzo. Quando però nel 1495 i Medici furono cacciati dalla città, il popolo che fece razzia nel Palazzo, trasportò la statua in Palazzo Vecchio come simbolo della libertà della Repubblica.

Cosimo il Vecchio, Pontormo, 1520, Uffizi

Il messaggio del David di Michelangelo era lo stesso: Dio avrebbe protetto la città di Firenze e il suo Governo Repubblicano insediato in Palazzo Vecchio da qualunque nemico della libertà.

Il David di Michelangelo è un giovane completamente nudo, ed è la prima volta dai tempi di Roma che una grande statua è stata eseguita completamente nuda.
La posa di appoggio del peso su una delle due gambe, che lascia libera l’altra come negli eroi classici in riposo, cosa che accade ai vari David, deriva dall’ arte classica e riappare anche dal piccolo Ercole simboleggiante la Forza, presente nel pulpito del Battistero di Pisa, scolpito da Nicola Pisano.

Nicola Pisano, Ercole, Pulpito del Battistero, 1260, Pisa

Quando nel 1537 Cosimo I dei Medici diventa Duca della Repubblica di Firenze, sceglie di cambiare simbolo, non più il David repubblicano, ma Ercole contro la cui forze è vano lottare.
Fa scolpire la statua di Ercole che vince Caco e, pur lasciando al suo posto il David di Michelangelo, la pone all’ altro lato della Porta del Palazzo Vecchio, il cui significato è chiaro: Dio non è più con la Repubblica, ora è Ercole, simbolo di Cosimo, e del nuovo ramo dei Medici, che comanda.

Ercole e Caco, Baccio Bandinelli, 1534, Piazza della Signoria

Ercole e Caco, Baccio Bandinelli, 1534, Piazza della Signoria


Il David di Donatello

Fu Cosimo dei Medici il Vecchio che intorno al 1440 commissionò a Donatello la statua di bronzo del David fusa a cera persa.
Nel 1420 suo padre Giovanni di Bicci dei Medici, fondatore del Banco dei Medici e grande mecenate d’ arte di Firenze, lasciò la gestione delle sue attività a Cosimo dei Medici il Vecchio, che abile quanto o di più del padre, allargò enormemente il giro di affari aprendo filiali del Banco mediceo in gran parte d’ Europa. Politicamente accorto, riuscì a farsi benvolere dall’ antipapa Giovanni XXIII, e il papa Martino V che lo sostituì nel 1417, richiese un grosso prestito dal Banco dei Medici, e Cosimo glielo concesse: l’ amicizia col papa in carica era importantissima per il Banco mediceo.

Giovanni di Bicci, Cristofano dell’ Altissimo, 1562, Uffizi Cosimo dei Medici il Vecchio, Pontormo, 1520, Uffizi Papa Martino V, copia da Pisanello, Palazzo Colonna, Roma

Alla morte del padre Giovanni di Bicci nel 1429 Cosimo riuscì a creare nel governo della città un partito filomediceo nemico della fazione oligarchica capeggiata dagli Albizi tramite alleanze e matrimoni con le grandi famiglie come i Tornabuoni, i Salviati, i Bardi, i Cavalcanti. Riuscì ad apparire favorevole al popolo mentre contemporaneamente trasformava la famiglia Medici da nuovi ricchi a facenti parte dell’aristocrazia.
Non essendo riuscito nel 1430 il governo oligarchico della Repubblica fiorentina a far esiliare Cosimo da Firenze con vari pretesti, per l’opposizione di Niccolò da Uzzano, quando l’Uzzano morì nel 1433 riuscirono a far incarcerare Cosimo incolpandolo di voler diventare dittatore di Firenze.

Cosimo dei Medici il Vecchio, Pontormo, 1520, Uffizi

In prigione era isolato, ma corruppe il guardiano Federico Malavolti che gli permise di avvertire il suo partito il quale organizzò una sollevazione di popolo, e il governo oligarchico di Rinaldo degli Albizi fu costretto a farlo uscire condannandolo all’ esilio dalla città.
Cosimo con uno stuolo di amici e servitori si fermò a Venezia, dove visse da gran signore, controllando e dirigendo il governo di Firenze: nel 1434 fece nominare un gruppo di governanti filomedicei che lo fecero richiamare a Firenze; Cosimo a sua volta fece esiliare i suoi nemici.
Era dal Palazzo Medici di via Larga, progettato da Michelozzo, che gestiva la politica cittadina, taglieggiando con il fisco i suoi nemici e assicurandosi sempre che nel governo di Firenze ci fosse la maggioranza di uomini di sua stretta fiducia.

Palazzo Medici, Michelozzo, prima dell’ allargamento dei Riccardi, 1684, Del Migliore, Firenze città nobilissima

Palazzo Medici, Michelozzo, metà del ‘400 circa, con la parte destra allargata successivamente di due portali dai Riccardi

Il David bronzeo venne modellato e fuso in bronzo a cera persa da Donatello intorno al 1435-1440, prima che l’ artista venisse chiamato nel 1443 a Padova a scolpire il Cristo e i bassorilievi per l’ altare della Basilica di S. Antonio a Padova e poi il monumento al Gattamelata.

Ritratto di Donatello, Paolo Uccello, Louvre

David di Donatello

Si presume che venisse posto nella sala grande al primo piano (piano nobile) e nel 1457 (o comunque prima della venuta a Firenze nel 1459 di Galeazzo Maria Sforza ospitato nel Palazzo e di papa Pio II Piccolomini) sia stato portato nel cortile del Palazzo Medici, che Cosimo stava arredando, e messo al centro, sopra un’ colonna di porfido rosso probabilmente romana di recupero e riadattata, a sua volta appoggiata su una base di marmo bianco scolpita da Desiderio da Settignano con quattro arpie agli angoli. Nel David la spessa corona bronzea di foglie di quercia alla base incorniciava l’ appoggio del bronzo al marmo della colonna.
Una ricostruzione della base è stata fatta in vetroresina dal Museo del Bargello ed è quella qui rappresentata nelle fotografie

Galeazzo Maria Sforza, Piero del Pollaiolo, 1471, Uffizi

Papa Pio II Piccolomini, Pinturicchio, seconda metà del ‘400

Base ricostruita in vetroresina dal Museo del Bargello per l’esposizione al Bargello del Donatello originale restaurato nel novembre 2008

Bargello, foto di replica del David di Donatello della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli sulla base ricostruita in vetroresina dal Museo del Bargello per l’esposizione al Bargello dell’ originale restaurato nel novembre 2008

Bargello, foto di replica del David di Donatello della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli sulla base ricostruita in vetroresina dal Museo del Bargello per l’esposizione al Bargello dell’ originale restaurato nel novembre 2008

L’ altezza di circa 160 cm del bronzo insieme a quella della base permetteva di raggiungere un’ altezza totale di circa 3,5 metri. Ed infatti l’ opera è stata creata per esser guardata dal basso. Gentile Becchi, educatore che abitava nel Palazzo Medici, dettò un’ iscrizione epigrafica che accompagnava il David:
“Victor est quisquis patriam tuetur. / Frangit immanis Deus hostis iras. / En puer grandem domuit tiramnum./ Vincite cives!”
“Chiunque difende la patria è destinato a vincere, / poiché Dio rompe i furiosi propositi del più spaventevole tra i nemici. / Ecco il fanciullo che ha sconfitto un enorme tiranno. Cittadini, alla vittoria!” (Caglioti 2000, p. 205);
l’ epigrafe rende il David un simbolo eroico di grande forza politica oltre che morale. Col portone del palazzo aperto era visibile da tutti quelli che vi passavano davanti (come sottolineava Marco Parenti in una sua lettera del 1469 dove descrive il matrimonio di Lorenzo il Magnifico con Clarice Orsini inviata a Filippo Strozzi a Napoli).
Quando nel 1495 i Medici furono cacciati da Firenze, la Repubblica Fiorentina che aveva requisito le abitazioni della famiglia, si impossessarono delle loro opere d’ arte del Palazzo Medici tra cui il David di Donatello, che trasferirono nel cortile del Palazzo dei Priori.
Nel 1511 il David fu colpito da un fulmine, e da quel momento in poi apparve e disparve dal cortile di Palazzo Vecchio: nel 1555, quando il Duca Cosimo I con la famiglia abitava in Palazzo vecchio, il David fu tolto dal cortile e fu chiuso in un deposito; venne sostituito dal Putto col Delfino eseguito in bronzo dal Verrocchio prelevato dalla villa medicea di Careggi, e venne posto sulla fontana in porfido creata da Francesco del Tadda al centro del cortile.
Il David riapparve con la sua colonna di base nel cortile nel 1570 in una nicchia del portico est, ma nel 1592 fu nuovamente tolto e sostituito da Sansone sul Filisteo di Pierino da Vinci.
Fino la 1638 non sappiamo dove sia stato, anno in cui compare, secondo inventari di palazzo Pitti, nella Sala Bianca. Riappare poi quando viene trasferito nel 1778 nella galleria degli Uffizi.
Finalmente nel 1865 viene ospitato al Bargello, trasformato in Museo Nazionale e qui si ferma.
Il David è un giovane nudo con un piede sulla testa tagliata del Gigante Golia. Il corpo nudo è ostentato in atteggiamento da vincitore; indossa un cappello con tesa simile a quello di Mercurio con corona d’ alloro e un puntale per un pennacchio andato perduto; ai piedi ha calzari di tipo antico, nella mano destra tiene una larga spada a punta piatta che appoggia sull’ elmo di Golia, nella sinistra il sasso da fionda. Golia ha un elmo alato dove appare sul lato a vista un bassorilievo. La spada di David indica proprio il piccolo bassorilievo che quindi probabilmente evidenzia la “morale” dell’ intera scultura. Rappresenta un carro trainato da due putti alati e nudi; sul carro è intronata una figura senza ali che riceve regali da altri due putti alati; dietro il trono appare un personaggio nudo e grasso senza ali che ha dietro, ai piedi, un’ anfora. La scena sembra tratta da un’ antica gemma romana, probabilmente della collezione dei Medici; probabile che la figura seduta sia Bacco accompagnato da Sileno, e che il putto alato gli stia offrendo una coppa di vino. Essendo sull’ elmo di Golia, potrebbe essere la rappresentazione dell’ incontinenza, superbia e arroganza, vizi associati a Golia (e ai tirannici nemici di Firenze) vinti dalla virtù del David (la Repubblica di Firenze, criptogestita da Cosimo).

David di Donatello

David di Donatello, particolare del copricapo David di Donatello, particolare del calzare

David di Donatello, particolare della mano destra con la spada

David di Donatello, particolare della mano sinistra col sasso David di Donatello, particolare della testa di Golia

Che fosse posto in alto, sopra alla colonna è provato da molti particolari: ha la testa e lo sguardo rivolti verso il basso, unico modo per riuscire a vedergli il volto, ma anche da una serie di irregolarità anatomiche, come le scapole e i glutei scesi nel fondoschiena spianato e poi spezzati e in tutte le articolazioni spigolose che Donatello ha eseguito come correzione ottica per la collocazione in alto della statua, la forte rotazione della testa di Golia per rendere visibile la placchetta coi puttini, molte parti non rifinite che sarebbero state nascoste dalla ghirlanda sporgente sulla base. Confrontando l’ impressione del David ad altezza d’ uomo con lo stesso posto in alto, cambia completamente l’ imponenza e il vigore del personaggio e il significato della testa con elmo di Golia.

David di Donatello, particolare 

David di Donatello, prima del restauro David di Donatello, dopo il restauro

Certo che il David, che era stato commissionato da un privato, sarebbe stato esposto così in alto in una casa privata, Donatello per la prima volta scolpì il David nudo. L’ età fanciullesca, la sua santità, umiltà e eroicità di guerriero avrebbero evitato a Donatello e alla committenza ogni sospetto di eterodossia. Donatello si era inoltre ispirato alla scultura classica, quasi sempre nuda. Solo dopo qualche generazione, con Michelangelo, apparve un’ altro David completamente nudo.
Il David è una delle fusioni tecnicamente meno riuscite: presenta molti tasselli incassati a freddo per correggere le mancanze, presenta varie crepe, parti che durante la fusione non sono state raggiunte dal bronzo, necessità di rifusione per ricostruire parti non venute (ben visibile è la calotta del cappello, la parte posteriore dell’ elmo di Golia, parte della ghirlanda di base, mancanza di fusione sotto il mento). I molti spostamenti della statua hanno causato altri danni probabilmente anche per delle cadute, come la rottura e la perdita di una ciocca di capelli sulla spalla sinistra.

David di Donatello, particolare 

David di Donatello, particolare 

David di Donatello, particolare 

In una lettera di Gentile Becchi precettore in casa Medici e amico di Lorenzo il Magnifico appare un giudizio calzante sul tipo di lavoro di Donatello:

…Contende la magnificentia con l’ utilità, l’ utilità chol p[iacere] et novità… ma perché l’ oficio mio con Voi è asuto più riprendere che lodare, un [man]camento vi viddi, et questo è quello hebbe Donatello et qualunque ha più inventio[n]e [e sa] bozzare più che finire, ordire più che essere patiente a tessere. (ASF, Mediceo avanti il Principato, XXXVII, 489)

E infatti Donatello curava l’ effetto finale delle sue sculture perché dessero allo spettatore l’ effetto che aveva voluto, senza perdere troppo tempo nei dettagli e nelle rifiniture, perché riteneva la superficie scabra e non finita avrebbe dato maggiore forza e espressività alle sue opere.
Un particolare molto interessante è il lavoro di sgraffiatura a freddo di gran parte della superficie della scultura, probabilmente per limitarne i riflessi.

David di Donatello, particolare 

David di Donatello, particolare 

David di Donatello, particolare 

David di Donatello, particolare 

I capelli, risparmiati dalla pioggia grazie alla visiera del cappello, ci dicono che in molte parti Donatello aveva lumeggiato a foglia d’ oro (a missione) alcune parti dell’ opera, come ha fatto per esempio nell’ Attis.

David di Donatello, particolare 

Attis di Donatello, particolare 


Michelangelo e il David - Parte I

Il Capolavoro e la sua storia

La Storia

Quando Michelangelo nell’agosto del 1501 firmava il contratto con l’ Opera del Duomo di Firenze per l’ esecuzione della statua di marmo di un David, aveva 26 anni, ed aveva già eseguito una serie di opere, divenute poi dei “classici”; tra cui a Roma, negli ultimissimi anni del ‘400, il Bacco (ora al Bargello) e la Pietà in San Pietro in Vaticano, unica opera da lui firmata nella cintola obliqua sul petto della Madonna Michelangelus Bonarotus Florentinus Faciebat.

Bacco di Michelangelo, Museo Nazionale del Bargello, Firenze

Pietà di Michelangelo, Basilica di San Pietro, Vaticano

Pietà di Michelangelo (dettaglio), Basilica di San Pietro, Vaticano

Il contratto per il David recitava “…ad faciendum et perficiendum et perfece finendumquendam hominem, vocatur gigantem, abozatum, rachiorum novem ex marmore, existtentem in dicta opera, olim abozatum per magistrum Agostinum… de florentia et male abozatum…”
Michelangelo avrebbe cioè dovuto scolpire perfettamente e terminare un uomo definito gigante con un marmo abbozzato esistente nell’ Opera del Duomo, male abbozzato in passato dal maestro fiorentino Agostino.
Iniziò il lavoro come previsto da una postilla del contratto:

“Incepit dictus Michelangelus laborare et sculpire dicrum gigantem die 13 settembris 1501 ed die lunede mane, quamquam prius videlicet die 9 eiusden uno vel duobus ictibus scarpelli substulisset quoddam nisum quem habebat in pectore: seu dicta die incepit firmiter et fortier laborare, dicta die 13 et die lune summo mane…”

Cioè il suddetto Michelangelo aveva cominciato a scolpire il detto gigante la mattina del 13 settembre 1501 sebbene il giorno 9 avesse tolto dal petto un “nodo” del marmo con uno o due colpi di scalpello: ma cominciò a lavorarvi fermamente e più fortemente il detto giorno lunedì 13 di mattina.

Con i pochi colpi di scalpello Michelangelo si era voluto accertare della qualità e dello stato del blocco di marmo sbozzato, che era rimasto all’ aperto a lungo essendo stato affidato ad Agostino di Duccio anni prima, nel 1463.
Da un documento dell’ Opera del Duomo del 18 agosto 1464 (Poggi, Il Duomo di Firenze 1909) appare che si trattasse dello sbozzo di un gigantesco Profeta da collocare su uno degli sproni del Duomo.
Agostino di Duccio lasciò la scultura abbozzata, e quindi il 6 maggio 1476 il marmo venne dato dall’ Opera del Duomo da terminare ad Antonio Rossellino, ma anche lui lo lasciò allo stato di abbozzo.

Il Vasari però ci da altre notizie:
Era questo marmo di braccia nove, nel quale per mala sorte Simone da Fiesole aveva cominciato un gigante e sì mal concia era quell’ opera, che lo aveva bucato tra le gambe e tutto mal condotto e storpiato; di modo che gli operai di Santa Maria del Fiore, che sopra tal cosa erano, senza curar di finirlo, lo avevano posto in abbandono, e già molti anni era così stato ed era tuttavia per istare.

Secondo il Vasari quindi fu Simone Ferrucci da Fiesole lo scultore che lasciò il blocco di marmo malamente sbozzato.

E non fu l’ Opera del duomo a commissionare a Michelangelo la scolpitura e la finitura del blocco di marmo, ma fu Michelangelo stesso a chiedere di poterlo lavorare per cercare di cavarci qualcosa. Pensava alla più grande scultura eseguita nel Rinascimento.

La scultura di Michelangelo era costretta dal precedente sbozzo e probabilmente non era certo su come riutilizzare il blocco, su che forma e movimento potesse dare alla sua opera ancora non del tutto definita, infatti nel contratto si parla di un hominem, vocatur gigantem, in origine un Profeta da porre all’ aperto sugli sproni del Duomo.
Il marmo era nel cortile dell’ Opera del Duomo, e lì Michelangelo doveva scolpirlo. Fece costruire una turata fra mura e tavole perché nessuno lo vedesse al lavoro, né vedesse cosa e come lo stava creando.

Il Buonarroti impiegò tre anni e tre mesi per completare l’ opera. Probabilmente, come spesso faceva, avrà diviso il tempo tra il colossale gigante ed altre sculture per altri committenti che aveva accettato di eseguire.
Alla fine di gennaio del 1504 la statua, il maestoso David, era terminato. Giorgio Vasari scrisse che ha tolto il grido a tutte le statue moderne e antiche o greche o latine che elle si fussero… e certo chi vede questa, non deve curarsi di vedere altra opera di scultura fatta nei nostri tempi o negli altri da qualsivoglia artefice.

David di Michelangelo, Galleria dell’Accademia, Firenze

David di Michelangelo (dettaglio), Galleria dell’Accademia, Firenze

Non si parlò più di issarla su uno sperone del Duomo. Occorreva però stabilire dove collocarla. Il 25 gennaio 1504 fu nominata una commissione apposita, cui parteciparono gli artisti più celebri e importanti della città: Andrea della Robbia, Cosimo Rosselli, Francesco Granacci, Piero di Cosimo, Davide Ghirlandaio, Simione del Pollaiolo, Filippino Lippi, Sandro Botticelli, Antonio e Giuliano da Sangallo, Andrea Sansovino, Pietro Perugino, Lorenzo di Credi, Leonardo da Vinci.

Andrea della Robbia, Andrea del Sarto, Devozione dei Fiorentini alle reliquie, 1510, particolare, SS. Annunziata, Chiostro dei Voti

Cosimo Rosselli, Davide Ghirlandaio, 1490, Detroit Institute of Art

Piero di Cosimo, autoritratto, 1515, Liberazione di Andromeda, dettaglio, Uffizi

Filippino Lippi, Disputa di Simon Mago e Crocifissione di S.Pietro, 1485, Cappella Brancacci

Sandro Botticelli, Adorazione dei Magi, autoritratto,1475, Uffizi

Giuliano da Sangallo, Piero di Cosimo, 1505, Rijksmuseum Amsterdam

Pietro Perugino, Autoritratto, 1500, Collegio del Cambio, Perugia

Leonardo da Vinci, autoritratto

Lorenzo di Credi, Perugino, 1504, National Gallery of Art, Washington DC

Leonardo da Vinci e Giuliano da Sangallo proposero di collocare il David in piazza Signoria sotto la Loggia dei Lanzi, in modo da proteggerlo dalle intemperie, addossato al muro con “un nicchio nero di drieto in modo di cappelluzza”. Avevano notato infatti che esistevano delle “imperfectione” del marmo che avrebbero potuto creare problemi sulla durata e la staticità della scultura all’ aperto.
L’ Araldo della Signoria della Repubblica e Michelangelo proposero invece di collocarlo o nel cortile del Palazzo della Signoria, o fuori a lato della porta del Palazzo, comunque all’ aperto.
Nacquero degli attriti tanto che, ci dice Luca Landucci nel suo Diario, fu necessario montare la guardia di notte al David perché veniva preso a sassate da chi non era d’accordo sul suo posizionamento.
Ma solo il muro in bozzato rustico del Palazzo poteva essere lo sfondo del grande marmo, e fu deciso di posizionarlo dove è ancora situato in copia, ma per far questo furono costretti l’ 8 giugno del 1504 a spostare la scultura di Donatello fusa a cera persa in bronzo della Giuditta che uccide Oloferne, che fu ospitata nella Loggia dei Lanzi, e l’ 11 giugno fu commissionata a Simone del Pollaiolo e a Antonio da Sangallo la base di marmo bianco e rosso.
Purtroppo nel 1842 per poter spostare il David dall’ Arengario della facciata di Palazzo Vecchio non si riuscì se non distruggendo la base originale, su cui era incisa la scritta EXEMPLUM SALUTIS PUBLICAE CIVES POSVERE, ricostruendola poi uguale all’ originale.

Copertura provvisoria del David ancora sulla base del 1504

David all’ Accademia sulla base rifatta

Base della replica di Piazza della Signoria

In Luglio e Agosto Michelangelo continuò con i ritocchi scultorei del suo capolavoro.
Il Vasari ci racconta lo spiritoso aneddoto avvenuto in questi due mesi:

Nacque in questo mentre, che vistolo su Pier Soderini, il quale, piaciutogli assai, ed in quel mentre che lo ritoccava in certi luoghi, disse a Michelagnolo, che gli pareva che il naso di quella figura fussi grosso. Michelagnolo accortosi che era sotto il gigante il gonfalonieri, e che la vista non lo lasciava scorgere il vero, per satisfarlo salì in sul ponte che era accanto alle spalle; e preso Michelagnolo con prestezza uno scarpello nella man manca con un poco di polvere di marmo che era sopra le tavole del ponte, e cominciato a gettare leggieri con li scarpegli, lasciava cadere a poco a poco la polvere, né toccò il naso da quello che era. Poi guardato a basso al gonfalonieri, che stava a vedere, disse: Guardatelo ora. A me mi piace di più (disse il gonfalonieri): gli avete dato vita. Così scese Michelagnolo, che se ne rise da sé, avendo compassione a coloro che, per parere d’ intendersi, non sanno quel che si dicano.

Il trasporto del gigante dall’ Opera del Duomo alla facciata di palazzo Vecchio fu un’ altra “impresa” non da poco, anche questa ce la sintetizza il Vasari:

…Perché Giuliano da Sangallo e suo fratello fecero un castello di legname fortissimo, e quella figura con i canapi sospesero a quello, acciochè scotendosi non si troncasse, anzi venisse crollandosi sempre; e con le travi per terra piane con argani la tirarono, e la missero in opera. Fece un cappio al canapo, che teneva sospesa la figura, facilissimo a scorrere, e stringeva quanto il peso l’ aggravava: che è cosa bellissima ed ingegnosa, che l’ ho nel nostro libro disegnato di man sua, che è mirabile, sicuro, e forte per legar pesi

Si dovette aspettare l’ 8 settembre per avere il David sulla sua base sistemato definitivamente a lato della porta del Palazzo Vecchio.

Palazzo Vecchio, dettaglio della porta con la replica del David

Nel 1512 la base del David fu colpita da un fulmine, senza però dal luogo a danni evidenti. Invece la statua subì grossi danni il 26 aprile del 1527 durante la rivolta per la cacciata dei Medici da Firenze: dei repubblicani si asserragliarono in Palazzo Vecchio lanciando dalle finestre pietre, mobili, tegole che colpendo il braccio sinistro della scultura lo ruppero in tre pezzi e la fionda si scheggiò all’ altezza della spalla. Fortunatamente di nascosto il Vasari e Francesco Salviati raccolsero tutti i pezzi e andarono a nasconderli in casa del Salviati.
Il restauro venne eseguito successivamente, sotto il Duca di Firenze Cosimo I dei Medici.

Nel 1813 venne danneggiato il dito medio della mano destra e fu ricostruito nel 1843 da Aristodemo Costoli che nel tentativo di ripulire la mano dalle concrezioni sia meccanicamente con spazzole d’acciaio, sia chimicamente con acido cloridrico, ne danneggiò la superfice. Il danno era ormai fatto, ma per cercare di proteggere dalla pioggia la statua venne provvisoriamente coperta.

David di Michelangelo, Galleria dell’Accademia, Firenze

David di Michelangelo (dettaglio), Galleria dell’Accademia, Firenze

L’ ultimo danno è stato inferto nel 1991 al piede sinistro da un sedicente contestatore: una martellata ne ha scheggiato le prime tre dita, poi restaurato con i frammenti recuperati.

L’ esposizione del David alle intemperie per circa tre secoli ne aveva fluitato la superfice specie dove la pioggia era battente (spalle e parte alta dei capelli) e aperto una serie di piccoli fori presenti nel marmo, i cosiddetti “taroli”; si pensò così di proteggere l’ opera portandola all’ interno della galleria dell’ Accademia.
Venne a tale scopo costruita dall’ architetto Emilio de Fabris una nuova tribuna illuminata da un lucernario,

David di Michelangelo (dettaglio), Galleria dell’Accademia, Firenze

e nell’ agosto del 1873 il David venne trasportato alla Galleria dell’ Accademia su un carro speciale su cui era imbracato, carro che era fatto scorrere sopra a delle rotaie di legno.
Ci vollero cinque giorni per trasportare la statua pesante quasi sette tonnellate; il clima torrido permetteva infatti di lavorare solo nelle ore più fresche dalle quattro alle undici di mattina.

David di Michelangelo (dettaglio dei taroli), Galleria dell’Accademia, Firenze

Modello del carro per il trasporto del David alla Galleria dell’ Accademia, Casa Buonarroti

Carro per il trasporto del David alla Galleria dell’ Accademia, Foto Alinari

Modello del carro per il tarsporto del David alla Galleria dell’ Accademia, Nuova Illustrazione Universale, anno Ii n. 6-18 gennaio 1874, p. 48


La Chimera Etrusca

La Chimera, questo cane-leone con la coda di serpente e la testa di capra sul dorso, si è formata dalla trasformazione di animali fantastici dell’ arte siriana, persiana e assiro babilonese.

Sfinge-leone, da Karkemish (Turchia), IX sec. a.C., Anadolu Medeniyetleri Muzesi, Ankara

Apparve nel mondo occidentale attraverso l’arte greca, etrusca e italica tramite gli scambi commerciali nell’ VIII – VII secolo a.C. La variante in cui la testa di capra fuoriesce da un’ala è una delle rappresentazioni più antiche.

Rilievo in bronzo, San Marciano, VI sec. a.C., Antiken Sammlung, Monaco

Anfora etrusca da Vulci, 530 a.C., Fitz. Museum, Cambridge

Ma è alla fine del V e inizio IV secolo a.C. che la Chimera con la civiltà etrusca tocca l’apice della sua rappresentazione artistica con il bronzo di Arezzo.

Museo Archeologico Firenze

Museo Archeologico Firenze

Museo Archeologico Firenze

Museo Archeologico Firenze

Museo Archeologico Firenze

Vari sono i miti greci relativi alla sua nascita: secondo Omero era un animale divino nutrito da Amisodaros re di Caria; per Esiodo era figlia dell’Idra di Lerna e del leone Nemeo nipote di Tifone ed Echidna, sorella della sfinge. Simboleggiava il potere ctonio e le forze del sottosuolo.

Anfora attica a figure nere con Eracle che uccide l’Idra, Pittore di Princeton, 550-525 a.C.

Dettaglio dell’ anfora attica a figure nere con Eracle che uccide l’Idra, Pittore di Princeton, 550-525 a.C.

Anfora attica a figure nere, Pittore di Boulogne 520-510 a.C., da Cerveteri

Dettaglio dall’ anfora attica a figure nere, Pittore di Boulogne 520-510 a.C., da Cerveteri

Venne uccisa dall’ eroe corinzio Bellerofonte della stirpe di Sisifo, figlio di Eurinome e di Glauco e di Poseidon: il mito narra che Bellerofonte fuggì dalla sua patria per aver causato involontariamente la morte del fratello e andò dal principe Preto ad Argo, dove però rifiutò le avances di sua moglie Stenebea che si vendicò inviandolo dal suocero Lobate re di Licia, che per farlo espiare lo invitò a compiere una serie di “fatiche” tra cui quella di uccidere la Chimera, aiutato da Pegaso cavallo alato.

Peter Paul Rubens, Bellerofonte, Pegaso e la Chimera, 1635, Musée Bonnat, Bayonne

In epoca etrusca la Chimera con Bellerofonte veniva posizionata a protezione sulle porte delle città con funzione apotropaica, e la Chimera d’ Arezzo è stata ritrovata presso l’ antica porta etrusca corrispondente all’ attuale Porta San Laurentino;

E’ probabile che alcune raffigurazione di angeli o di santi con la stessa funzione di guardiani delle porte derivino dal ricordo dell’ antico episodio mitico, come San Michele o San Giorgio spesso raffigurati con le ali come Pegaso, il cavallo alato di Bellerofonte, che si accingono ad uccidere il drago, lontano parente della Chimera.

Botticini, a sx l’ Arcangelo Michele, 1471 ca, Uffizi

Raffaello, S. Michele, 1505, Louvre

Mura di Firenze ultima cerchia, Porta S. Giorgio

Mura di Firenze ultima cerchia, Porta S. Giorgio, dettaglio del bassorilievo

All’ inizio del VII secolo a. C. la Chimera veniva recepita ancora in modo puramente decorativo, e alla fine del VI secolo a.C. la sua immagine iniziò ad apparire su monete, gemme, scarabei, antefisse,

Statere d’ argento, Sicione, IV sec. a.C.

Corinto 430-405 a.C.

Intaglio onice di strato azzurro su fondo nero, I sec. a.C.

Antefissa fittile da Thasos, 550 a.C., Mus. Nazionale, Atene

sulle ceramiche,

Aryballos corinzio da Camirtos, Pittore dei leoni araldici, ultimo quarto del III sec. a.C., Victoria and Albert Mus., Londra

Kylkiz laconica, Pittore della Chimera, Terzo quarto del VI sec. a.C., Heidelberg, Mus. dell’Università

Piatto apulo a figure rosse 350 a.C.

Nel V secolo a.C. si ebbe il ritorno e la diffusione del suo mito con Bellerofonte su Pegaso che la uccide che continuò anche in epoca romana apparendo su ceramiche, mosaici, affreschi, gemme e monete.

Kylix a figura nera laconiana Pittore di Boread Getty Villa, Malibù 570-565 a.C.

Ceramica attica figure rosse 420 a.C.

Piatto apulo

Askos attico a figure rosse. Ultimo quarto del V secolo a.C., Louvre, visto dall’ alto

Askos attico a figure rosse. Ultimo quarto del V secolo a.C.

Askos attico a figure rosse. Ultimo quarto del V secolo a.C.

Mosaico, Rodi, 300-270 a.C.

La-Chimera-mosaico-romano-Musee Rolin Burgundy France

Affresco romano con Cupido, Pegaso, Chimera, I-II sec. d.C., Colonia, Museo

Intaglio onice di strato azzurro su fondo nero, III sec. d. C.

Anello a scarabeo etrusco, ca. 400 a.C. Michael C. Carlos Museum, Emory University

Didrammo dei Fenserni (Campania) 390 a.C., Berlino

Corinto, bronzo, età augustea

La Chimera d’Arezzo è di genere maschile (anche se in epoche antiche la Chimera è apparsa anche in forme femminili) ed è rappresentata ferita dai colpi del nemico sulla coscia sinistra e sul collo della testa di capra che pende dalla parte di sinistra ormai morente.

Cavità lanceolata sull’anca sinistra

Cavità lanceolata sul collo della testa di capra

Il corpo dell’animale è stato modellato con naturalismo plastico, mentre la testa ha ancora un forte sapore arcaico come opera scultorea di transizione tra due stili artistici.

Museo Archeologico Firenze

Museo Archeologico Firenze

Museo Archeologico Firenze

Particolarmente convincente sull’ arcaicità della testa è il confronto con il gocciolatoio fittile da Metaponto risalente alla metà del V secolo a.C. e il Rhyton attico a figure rosse di Ruvo della fine del V sec. a.C.

Gocciolatoio fittile da Metaponto

Chimera d’ Arezzo, particolare

Rhyton attico a figure Rosse, Ruvo, fine V sec. a.C.

Particolare della Chimera Etrusca

Altre affinità stilistiche si trovano nel confronto con la statua funeraria da Marciano all’ Antikensamlung di Berlino e con la zampa di sostegno del Museo Archeologico di Firenze.

Statua cineraria da Marciano, Antikensammlung, Berlino

Sostegno bronzeo a zampa ferina, Mus. Archeologico, Firenze

Lo studio della scritta etrusca sulla gamba sinistra tinscvil, incisa sulla cera prima della fusione, conferma la datazione della Chimera d’ Arezzo alla fine del V – inizio del IV sec. a.C.

Chimera, dettaglio

Il mito della sua uccisione prevede che la Chimera e le altre due figure di Bellerofonte e di Pegaso siano unite un unico gruppo scultoreo, come spesso accade. Ma la Chimera, al pari di altre figure mostruose, viene rappresentata anche da sola, prende cioè una vita autonoma come appunto nelle monete, nelle ceramiche, etc.
La Chimera d’ Arezzo potrebbe essere stata asportata da un gruppo bronzeo con Bellerofonte a cavallo di Pegaso. La scritta dedicatoria etrusca presente sulla gamba sinistra dell’ animale incisa sulla cera prima della fusione potrebbe però far pensare anche ad una fusione singola. Il bronzo poi sarebbe stato sotterrato insieme ad altri bronzetti in una stipe votiva.

La scultura è alta circa 80 cm e lunga circa 130 compresa la coda, che però non è nella posizione originaria a causa del restauro settecentesco.

Cosimo I dei Medici Duca di Toscana ordinò che gli venissero portati sia la Chimera che gli altri reperti scavati ad Arezzo, ed espose il grande bronzo nelle stanze del papa Medici Leone X in Palazzo Vecchio, come simbolo di tutte le fiere da lui vinte nella creazione del Regno d’ Etruria. Successivamente fu portata nel “corridore di mezzogiorno” degli Uffizi. Oggi è al Museo Archeologico di Firenze.
Il restauro fu curato dal Cellini; le zampe del lato sinistro, trovate staccate dal corpo poco sopra l’ articolazione vennero riattaccate grossolanamente con colatura di piombo.

Zampa anteriore sinistra lato esterno

Zampa anteriore sinistra lato interno

Zampa posteriore sinistra lato esterno

Zampa posteriore sinistra lato interno

Nel 1785 lo scultore Carradori ricreò la coda dell’ animale (ancora non rifatta nel disegno di Disegno di Verkruys del 1724 riprodotto da Th. Dempster nel 1720-1726)

Disegno di Verkruys del 1724 riprodotto da Th. Dempster, De Etruria regali libri septem, Firenze, 1723–1724

non rispettando l’ originario andamento, solo la parte più vicina al corpo della Chimera è un frammento della coda originale e la posizione del serpente che morde il corno della testa di capra venne creata per darle un punto d’ appoggio grazie al quale sostenerne il peso.

Giunzione tra troncone originale della coda con la parte rifatta nel ‘700

Negli 1933 difronte alla stazione ferroviaria di Arezzo furono collocate due fontane con al centro di ognuna una replica della Chimera etrusca fuse dalla fonderia Aglietti. Durante la Seconda Guerra Mondiale vennero tolte ed il metallo fuso per esigenze belliche.

Nel dopoguerra il Comune di Arezzo chiese alla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze di fonderne due repliche che furono riposizionate al posto di quelle perdute.

Fontana con la copia novecentesca della Chimera nel lato destro dei giardini della stazione di Arezzo

Fontana con la copia novecentesca della Chimera nel lato destro dei giardini della stazione di Arezzo

La copia novecentesca della Chimera nel lato destro dei giardini della stazione di Arezzo

Più volte questo magnifico bronzo conservato al Museo Archeologico di Firenze è stato richiesto per essere esposto sia in mostre che i musei di varie parti del mondo hanno allestito. Ed è nato un serio problema: se nel trasporto per nave o per aereo l’originale va perduto come si fa? Perdere un tale capolavoro sarebbe una tragedia ed un delitto. È nato quindi da parte della Soprintendenza Archeologica il progetto degli “identici”, la creazione cioè di repliche assolutamente identiche di questi bronzi, da inviare alle varie mostre e tenere l’originale nel Museo.
La direzione del Museo archeologico di Firenze ha quindi contattato attraverso la Galleria Bazzanti la Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli, per iniziare lo studio della possibilità di eseguire un calco negativo non solo sulla Chimera Etrusca, ma anche su altri due bronzi etruschi del Museo: la Minerva Etrusca, e l’Idolino, per poi fondere in bronzo a cera persa gli identici. Constatata la capacità e la qualità lavorativa della fonderia, ha proceduto a darle l’incarico.
I nostri tecnici hanno raggiunto i laboratori della Soprintendenza Archeologica ed hanno iniziato ad eseguire, con estrema attenzione, il calco della Chimera in gomma siliconica e madreforma in gesso.

Realizzazione del calco sulla Chimera originale

Realizzazione del calco sulla Chimera originale

Dal calco, trasportato con cura in fonderia, sono state eseguite e ritoccate le cere a cui sono state applicate le colate, eseguita e lavorata la fusione, assemblate e saldate le parti.

Madreforma in gomma siliconica

Ritocco della cera del serpente

Cera della testa ritoccata

Applicazione delle colate alla cera della testa

Il bronzo lavorato viene rimontato

L’“identico” della Chimera è stata esposto al Museo Archeologico fiorentino, ed è stata inviato poi a varie esposizioni come quella del 2014 “Seduzione Etrusca. Dai segreti di Holkham Hall alle meraviglie del British Museum” al Palazzo casali di Cortona.
Attualmente è posto all’ ingresso del Museo Archeologico di Firenze.

Ferdinando Marinelli Jr. presenta l’ “Identico” al Museo Archeologico di Firenze


I Putti nell'Arte dopo Donatello

I Putti nei fregi

Donatello ha usato fregi con putti in molti dei suoi lavori, come ad esempio nei due pulpiti bronzei in San Lorenzo a Firenze, nella cantoria del Duomo di Firenze, nel pulpito del Duomo di Prato. Ed ha influenzato in questo senso vari altri scultori. Ma in alcuni artisti quali Filippino Lippi, Ghirlandaio, Raffaello, Guadenzio Ferrari ed altri si percepisce anche l’ influenza che ha avuto la scoperta del fregio Romano classico avvenuta nel 1480 nella Domus Aurea di Nerone a Roma.
Andrea di Lazzaro Cavalcanti detto il Buggiano, adottato dal Brunelleschi da quando aveva cinque anni, mette frequentemente i putti nei suoi lavori. Ma questi hanno un aspetto diverso da quello donatelliano, sono gonfi e con volti quadrati , nasi piccoli con piccole narici, e con sorrisi misteriosi e leggermente malvagi che mostrano i denti, probabilmente derivati da quelli della cantoria di Donatello. Il suo Lavabo nella Sacrestia delle Messe del Duomo di Firenze è una edicola di gusto classico con all’interno due grandi putti seduti con enormi ali che sembrano reggere le cannelle da cui esce l’acqua.

La tomba di Giovanni de’ Medici e di Piccarda Bueri del 1433 nella sacrestia vecchia di San Lorenzo è costituita da un sarcofago con putti alati seduti che reggono cartigli e putti alati volanti che reggono corone e stemma mediceo, più simili a quelli do Donatello.

Maso di Bartolomeo decora con dei putti la cancellata di bronzo fusa nel 1447 a cera persa della Cappella della Cintola del Duomo di Prato. Uno di questi è bendato ad ha l’ arco e la faretra come Eros ma ha anche i calzari alati come l’ Attis di Donatello. La sua anatomia è di derivazione donatelliana, anche se le masse muscolari lo fanno più un piccolo David che non un putto. Ha così portato anche all’ interno della Cattedrale i putti che sono fuori nel Pulpito.
Ha anche eseguito nel 1446 il celebre cofanetto della Sacra Cintola di Prato in bronzo, in cui ripete in avorio dei putti donatelliani del tipo e nelle pose danzanti di quelli del Pulpito, e il cofanetto in pastiglia con lo stemma Orsini con piccoli putti musicanti.

Influenza di Donatello in pittura

Filippo Lippi è stato ovviamente influenzato da Donatello nell’uso dei putti nella sua pittura, dal momento che entrambi hanno vissuto e lavorato a Firenze. Nella Madonna con Bambino del Fitzwilliam Museum dipinta dopo il 1430, gli angeli diventano giovanissimi putti alati,

altrettanto nella Pala Barbadori del 1438 e nella Madonna con Bambino, santi e Angeli della Collezione Cini del 1431 si conferma e si rafforza la tipologia dei putti del Lippi che, specie nei volti, sarà una sua caratteristica,

caratteristica che denota anche la tipologia dei suoi Gesù Bambini, come nella Madonna di Tarquinia del 1437 (Palazzo Barberini a Roma).

Andrea del Castagno dipinge negli affreschi di Villa Carducci del 1451,  in alto, dei putti danzanti ripresi nelle pose e nello stile da quelli del Pulpito di Prato.

Anche Domenico Ghirlandaio à influenzato da Donatello nella teoria di putti posti nel fregio dell’ affresco della Nascita della Vergine in Santa Maria Novella a Firenze del 1490, che si sovrappongono nella danza come quelli donatelliani della Cantoria.

Influenza di Donatello nel Nord Italia

Teorie di putti danzanti sono stati scolpiti come decorazioni da Bartolomeo Bellano nel Monumento a Roccabonella in S. Francesco a Padova, del 1494, sulla base del trono della Vergine Bellano di diretta ispirazione alla Cantoria del Duomo di Firenze di Donatello;
Niccolò Pizzolo, anch’ egli padovano nella pala d’ altare della Cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani a Padova ha eseguito in alto un fregio di putti che corrono e giocano con cerchi e corone, che derivano da quelli della Cantoria di Donatello;
Giovanni Antonio Amadeo, di Padova, ha lavorato a Bergamo alla Cappella Colleoni fino al 1476, dove ha eseguito le sculture in bassorilievo sulla pietra d’ Istria di rozzi putti che schiacciano l’ uva, alcuni copiati anche nella posa da quelli del donatelliano Pulpito di Prato, e altri putti molto paffuti e grassi nel fregio in basso del Monumento Funebre al Colleoni.
In tutto il chiostro della Certosa di Pavia abbondano le decorazioni con putti di tipo donatelliano, gran parte dei quali scolpiti da Amadeo intorno al 1470.
Nel 1433 Donatello andò a Padova per lavorare all’ altare della Basilica di S. Antonio, le cui sculture, comprese quelle dei suoi putti influenzarono i pittori del nord, in modo particolare Mantegna. Molti dipinti del Mantegna, tra cui gli affreschi per il soffitto e le pareti della Camera degli Sposi di Mantova derivano da quelli donatelleschi.

Donatello, nel bassorilievo bronzeo della Pietà di Padova per la prima vota, fa sostenere il corpo del Cristo dai putti; il primo suo emulo è Giovanni Bellini che copia questo stilema nella Pietà al Museo Correre di Venezia (1460).

E ripete più volte questo tema: nel Cristo al Museo di Rimini, del 1470, dove i quattro putti-angeli hanno ali di farfalla e indossano corte tuniche, così come quelli della Camera degli Sposi del Mantegna a Mantova,

nella Pietà dello Staatliche Museen di Berlino, dove gli angeli-putti cominciano a crescere d’ età,

Antonello da Messina, andato a Venezia nel 1475, si ispirò al Bellini per dipingere il Cristo morto sostenuto da tre putti-angeli (Museo Correre Venezia), e due anni dopo un’ altro in cui Cristo seduto viene sostenuto da un solo putto-angelo. (Museo del Prado, Madrid)


Il vaccino di Edward Jenner e la scultura di Giulio Monteverde

Parte II

Lo scultore Giulio Monteverde crea con questo modello un piccolo grande capolavoro:
la statua celebrativa di Jenner è molto complessa e rappresenta il personaggio che sta inoculando il vaccino al bambino. La luce scivola sul corpo nudo del piccolo senza creare intensi chiaroscuri. Invece gli abiti del medico e i panneggi in basso del telo che si riversa a terra risultano più evidenti e grafici. Inoltre le mani sono messe ben in evidenza dal contrasto tra luci ed ombre.
Nella statua di Jenner che inocula il vaccino del vaiolo al bambino Monteverde riesce a far apparire subito chiare le emozioni che sono in gioco e le trasmette allo spettatore:
il bambino è nudo, la sua pelle è liscia, senza grinze, e permette alla luce di scivolare senza creare forti chiaroscuri, che, insieme al suo essere al centro della scultura, è il punto focale dell’ opera.
Jenner invece con l’ abito e con la stoffa che scende dal cuscino fino a terra, ha forti chiaroscuri, che ne evidenziano la tensione, e che benché sia la figura più grande pongono la figura in secondo piano.
L’ atteggiamento del medico è concentrato e deciso, egli è certo della sua nuova teoria, ma deve vincere la paura dei medici e della popolazione; il bambino percepisce la sua paura ed è a sua volta impaurito, anche se non può ribellarsi.
Monteverde ha voluto esprimere il coraggio, la determinazione, e l’eroicità del gesto, se il bambino è effettivamente suo figlio come narra la leggenda, e la certezza della sua scienza, che supera appunto in un attimo i luoghi comuni del popolo e degli altri medici.

La scultura gli fu commissionata, dopo che lo scultore l’ebbe inviata nel 1873 all’Esposizione Universale di Vienna, dove si aggiudicò la medaglia d’oro, dalla Duchessa di Galliera Maria Brignole Sale de Ferrari, grande filantropa per la la città di Genova.

Alla sua morte la Duchessa lasciò in eredità l’opera per legato testamentario e dal 1884 si trova nelle collezioni della Galleria d’Arte Moderna di Genova.
Come è stato descritto, la scultura di Monteverde è complessa dal punto di vista tridimensionale, con molti sottosquadra che avrebbero reso il getto in bronzo estremamente impegnativo. Si è dovuto quindi sezionare il modello in molte parti, studiate in modo da garantire la riuscita perfetta di queste nella fusione a cera persa in bronzo.

Si è proseguito con l’esecuzione dei calchi negativi in resina siliconica e madreforma in gesso di ogni parte sezionata del modello, usando un tipo speciale di silicone liquido che garantisse la “lettura” di ogni particolare della scultura e della sua superficie.
Da questi sono state ottenute le cere vuote dello spessore che sarebbe stato necessario avere in bronzo.

Una volta estratte le cere dalle forme negative,

sono passate alla delicata fase del ritocco.

E’ stato necessario rimontare tutte le parti in cera per ritrovare il modello intero controllando che tutte combaciassero perfettamente, e le parti in cera ritoccate,

Dopo altri passaggi e cotture sono state gettate in bronzo, ottenendo le fusioni grezze identiche alle cere stesse

Una delle due sculture in bronzo viene patinata.

La scultura terminata, in attesa di essere spedita al cliente.

La scultura viene poi istallata sulla base in marmo, realizzata dallo Studio Bazzanti, presso il Lawrence J. Ellison Institute di Los Angeles.

Le miniature

Il cliente ci ha chiesto di creare un modello piccolo della scultura. La nostra scultrice Eleonora Villani si è messa al lavoro e dopo un lungo tempo ha ottenuto una riduzione perfetta del “Jenner” di Monteverdi.
Anche questo modellino è stato sezionato in più parti,

Di cui sono stati fatti i calchi negativi in silicone e madreforma in gesso,

Da cui si sono ottenute tutte le piccole parti in cera vuota.

Le minuscole parti in cera sono state rimontate per ottenere una cera completa della replica, su cui è stata fatto un calco negativo del modello completo, da cui ottenere la fusione in bronzo, che nettata e cesellata con particolare cura è diventata il modello per le successive 100 repliche.

Il numero delle repliche è chiuso, ed ogni esemplare è numerato in centesimi, ed è punzonato con il logo della Fonderia Ferdinando Marinelli e della Società che ha ordinato le repliche.

Vengono eseguite le basette in marmo, poi le sculture vengono patinate e gli viene applicata la base di marmo di Carrara.


La Porta Santa

Parte II

Il rito dell’ abbattimento del muro è stato ripetuto fino all’ apertura della Porta Santa del 24 dicembre 1974 di Paolo VI. Fino a quel giorno nell’ atrio basilicale la Porta Santa era chiusa dal muro bianco decorato da una croce di metallo dorato, con sotto una targa plumbea, muro alzato alla chiusura della stessa Porta Santa al termine dell’ Anno Giubilare di Pio XII del 1950.

Paolo VI al termine dell’ Anno Santo del 1975 introdusse un cambiamento rituale per la chiusura della Porta: nel 1949 era stata applicata nella parte interna della Porta Santa quella fusa in bronzo, usata per la chiusura notturna del varco della Porta dopo al crollo della Porta in muratura. I battenti bronzei furono spostati sul davanti dell’ apertura, e da allora il muro viene abbattuto alcuni giorni prima dell’ apertura della Porta dall’ interno e ricostruito alla fine del Giubileo.
E la cerimonia dell’ apertura e chiusura ha subìto un profondo cambiamento: dal 1975 il papa apre la Porta Santa soltanto spingendo e spalancando i due battenti di bronzo (il muro è stato abbattuto dai muratori pochi giorni prima); e la chiusura della Porta Santa avviene al contrario, il papa serra i due battenti di bronzo (e il muro verrà ricostruito pochi giorni dopo).
Quindi dal 1950 la Porta Santa della Basilica di San Pietro è chiusa all’esterno dalla porta bronzea, e non più dal semplice muro.
E queste porte sono diventate un richiamo alla spiritualità degli Anni Santi, dell’ indulgenza, della misericordia e del perdono.

LA PORTA SANTA DI VICO CONSORTI

L’idea di rinnovare le porta risaliva al pontificato di Benedetto XIV nel ‘700. Ma del progetto rimangono solo dei modelli lignei presso la fabbrica di San Pietro.

Il Principe Giorgio di Baviera, nato a Monaco di Baviera nel 1880 dalla famiglia reale di Wittelsbach fu Canonico Vaticano del 1926. Alla sua morte nel 1943 destinò il suo patrimonio privato alla realizzazione in bronzo delle porte della Basilica di San Pietro. Lasciò scritto anche le norme per la costituzione di una commissione che presiedesse il lavoro, che doveva avere a capo l’ Arciprete della Basilica, come segretario l’ Economo e Segretario della Reverenda Fabbrica di San Pietro., e come collaboratori, suo fratello principe di Baviera, due rappresentanti dei canonici della Basilica eletti dal Capitolo, il Direttore dei Musei e Gallerie Pontificie e da ultimo l’ Ambasciatore di Germani presso la Santa Sede. La Commissione doveva bandire un concorso internazionale e decidere il vincitore.

Terminata la guerra, nel 1947 la Commissione fu formata dai Cardinale Federico Tedeschini, Mons. Ludovico Kaas, Mons. Carlo Grosso e Mons. Vincenzo Bianchi Cagliesi, prof. Bartolomeo Nogara, prof. Piero Canonica, prof. Arnaldo Foschini, Mons. Arthur Wynen. Furono aggregati anche il Conte Ing. Enrico Pietro Galeazzi, ing. Francesco Vacchini.
Il bando fu pubblicato nel luglio 1947 con l’ obbligo di presentare il disegno di una porta a scala 1:10, il bozzetto in gesso di un pannello in scala 1:4 e un dettaglio del pannello in gesso al vero.
Arrivarono più di 80 progetti da tutte le parti del mondo. Solo 12 furono premiati, tra cui Dazzi, Manzù, Morbiducci, Consorti, Cambellotti, etc., quelli cioè che si erano mantenuti su uno schema classico.
Mentre si discuteva a chi dare l’ incarico, Mons. Ludovico Kaas decise di far realizzare una porta più piccola, non prevista dal concorso, cioè la Porta Santa, che doveva sostituire quella del 1750. Il costo della nuova Porta santa fu sostenuto dal vescovo di Basilea e Lugano Mons. Franziskus von Streng, a ringraziamento del popolo svizzero di essere stato risparmiato dagli orrori della guerra. Mons. Kaas dette direttamente l’ incarico dell’ esecuzione dell’ opera allo scultore senese Vico Consorti, già iscritto al concorso delle altre porte per la Basilica Vaticana.

Consorti aveva già realizzato per il conte Guido Chigi Saracini, come ringraziamento per la liberazione della città di Siena dai tedeschi, la Porta della riconoscenza per il Duomo di Siena, inaugurata il 16 agosto 1946. Questa porta presenta richiami classici, con ricerca di forme rinascimentali, ed impressionò favorevolmente Mons. Kaas. Il contratto venne firmato il primo marzo 1949, e il Consorti scelse per la fusione e la realizzazione meccanica la Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze.
Nella foto da sx: Ferdinando Marinelli Sr., Vico Consorti, Conte Chigi Saracini.

La Fonderia Ferdinando Marinelli si era già fatta conoscere per l’abilità nel fondere a cera persa altre porte per la Chiesa, come quella scolpita da Ludovico Pogliaghi per la chiesa romana di Santa Maria Maggiore e terminata nel 1947.

Aver fuso la Porta Santa ha fatto conoscere la Fonderia Ferdinando Marinelli in tutto il mondo cristiano, tanto che le sono state allogate le fusioni e realizzazioni di altre porte come quella, nel 1956 per il Palazzo Arcivescovile di Bogotà (Colombia) commissionata dal Cardinale Chrisanto Loque, rivoltosi anch’esso allo scultore Vico Consorti; e le porte per la Cattedrale d’Oropa (Biella) modellate dal Vatteroni, dal Consorti e dall’ Audagna del 1960, il cui peso complessivo superava le 11 tonnellate; quella della Basilica del Sacro Cuore a Sasssari modellata da Mario Moschi e fusa nel 1969; e la Porta di Onofrio Pepe per il parco del nuovo Tribunale di Firenze, eseguita nel 2005.

Consorti elaborò un primo bozzetto nel gennaio del 1949 (i tempi di realizzazione della Porta erano strettissimi) che fece fondere in bronzo da Marinelli. Nel bozzetto erano presenti pannelli con scene riprese dal Vangelo e con due momenti relativi all’Anno Santo: Bonifacio VIII che consegna la bolla del primo Giubileo sullo sfondo dell’antica basilica costantiniana, e la nuova Basilica con personaggi intorno alla croce ad indicare l’ultimo giubileo indetto.

Nel mese di giugno erano modellate in creta 8 formelle, e già fusi dalla Fonderia Marinelli i pannelli del Buon Ladrone modellati tra gennaio e febbraio del 1949 e i quattro del registro superiore fusi in tempo record e mai ritoccati dl Consorti.
Il 31 agosto Consorti andò, con la sua Topolino Fiat, a Roma a mostrare i pannelli fusi a Mons. Kaas.
L’ intera Porta giunse in San Pietro il 18 dicembre mentre fervevano i preparativi per la cerimonia dell’ Anno Santo, e le due ante furo collocate provvisoriamente su lato sinistro della Cappella del SS. Sacramento. Dopo che il papa varcò la soglia della Porta Santa seguito dai cardinali e dai prelati, il Santo Padre procedeva alla benedizione delle due ante di Vico Consorti che era presente inginocchiato e in preda alla commozione. Ancora non sapeva che da quel giorno in poi sarebbe stato chiamato per il resto della sua vita “Vico dell’ Uscio”.
Il 28 dicembre le due ante furono incardinate al loro posto

e successivamente nel 1974 portarono ad un cambiamento del cerimoniale: non più la rottura del muro per mano del papa, ma l’ apertura delle ante di bronzo e la successiva chiusura alla fine del Giubileo. Infatti in quell’ anno, quando il giorno di Natale papa Pio VI dette i tre simbolici (ma efficaci) colpi di martello sul muro di calce e mattoni, parte di questi gli caddero addosso.
Col Giubileo del Papa Pio XII nel 1950 si ebbe così l’ apertura delle ante in bronzo e il suo ingresso in San Pietro e altrettanto la successiva loro chiusura

rito che si è ripetuto nello speciale Giubileo di fine millennio del 2000 con l’ apertura di Papa Francesco

e la successiva chiusura

LA FUSIONE A CERA PERSA

La Fonderia Ferdinando Marinelli fu posta sotto pressione: un opera di tale portata andava eseguita e consegnata dal gennaio al dicembre 1949, cioè in meno di un anno con inoltre la difficoltà che i modelli delle formelle e delle cornici venivano portati in fonderia non tutti insieme, ma un po’ alla volta nel tempo, via cioè che il Consorti li completava. Il “miracolo” riuscì e la Porta Santa di bronzo arrivò in Vaticano il18 di dicembre del 1949, sei gironi prima dell’ apertura per il Giubileo!
In quei primi anni del dopoguerra nella Fonderia Ferdinando Marinelli si lavorava con tecniche artigianali del tutto simili a quelle rinascimentali: non c’ erano macchinari di sollevamento quali le gru o i muletti, tutto era fatto a mano, c’ era solo l’ elettricità che dava luce e permetteva l’ uso di trapani e di dischi a motore elettrico come si vede nella foto.

La lunga cottura delle forme per far bruciare la cera, in fornelli di mattoni e fango costruiti sopra ad ogni forma e alimentati giorno e notte con fascine di legna, e poi il rito del getto del bronzo fuso in un forno primitivo alimentato a carbone e ossigenato con una ventola, il crogiolo con circa 200 Kg di bronzo fuso sollevato e mosso a mano, con la precisione tale da versare il metallo liquido con precisione dentro alle forme sotterrate fino all’ apice. Poi la rottura delle forme, le pulizia delle fusioni grezze ottenute, il lavoro di nettatura e di cesello dei bronzi, poi il montaggio, la saldatura a fiamma ossiacetilenica, la lavorazione delle saldate, e infine la patinatura e la doratura.
Ad opera terminata, il minuzioso controllo di Ferdinando Marinelli Sr., nonno di Ferdinando Marinelli Jr. che dal 1976 dirige la Fonderia.