Michelangelo e le cave di marmo
Parte II
Le cave di Serravezza - Pietrasanta
Michelangelo, come lui stesso scrive nel marzo 1520, per richiesta del Papa nel 1517-8 parte da Roma alla volta delle cave di Serravezza: “Fui mandato da Roma a Seraveza, innanzi vi si chominciassi a chavare, a vedere se v’ era marmi”.
Ma continua a farli cavare a Carrara.
Finalmente però si convince a far estrarre i marmi a Serravezza così come gli chiedeva il Papa, con anche l’apprezzamento del cardinale Giulio dei Medici, famiglia proprietaria delle cave di Pietrasanta e Serravezza, che gli scrive in tal senso il 23 marzo 1518. Cosimo I farà poi costruire nel 1564, in queste terre, la villa medicea di Serravezza, probabilmente dal Buontalenti.
Da una lettera scritta anch’essa nel marzo del 1920 a Sebastiano del Piombo, Michelangelo, che è sempre stato contrario alle cave di Serravezza, giustifica questo cambiamento dicendo che: “E non mi sendo là [Carrara] osservati contratti e allogagione fatte prima di marmi per detta opera e volendomi e’ Carraresi assediare, andai a far cavare detti marmi a Seravezza, montagna di Pietrasanta, in su quello [territorio] de’ Fiorentini”. E sicuramente gli pesa dover far aprire nuove cave vergini, piuttosto che servirsi di quelle avviatissime e note di Carrara. Inoltre i Carraresi boicottano il trasporto per mare dei blocchi già acquistati e cavati, tanto che Michelangelo è costretto a ricorrere alla raccomandazione di Jacopo Salviati per convincere un traghettatore di Pisa.
Ma Serravezza lo delude: i marmi non sono come li vorrebbe, le consegne sono in forte ritardo, la strada per giungervi non è ancora terminata.
Ora Michelangelo è arrabbiatissimo, e il 18 Aprile 1518 scrive da Pietrasanta al fratello Buonarroto: “Oh maledetto mille volte el dì e l’ ora che io mi partii da Carrara! Questa è cagione della mia rovina: ma io vi ritornerò presto… e monterò subito a cavallo e anderò a trovare el cardinale de’ Medici e e Papa e dirò loro el fatto mio e qui lascierò l’ impresa e ritorneromi a Carrara, che ne sono pregato come si prega Cristo”.
Torna in effetti a Carrara, ma le cose anche lì si sono complicate enormemente: prezzi sempre più alti per il marmo, infinite difficoltà per il trasporto. A Serravezza le cose non vanno meglio: gli scalpellini, tutti di Settignano presso Fiesole non hanno esperienza per cavare il marmo, nella cava si susseguono incidenti, uno di cui mortale, non si riesce a scavare una colonna sana senza venature impreviste o senza che si rompa. Ha dovuto commissionare e pagare alcuni pezzi architettonici tre volte, ha dovuto di persona andare a insegnare agli inesperti cavatori il verso del marmo, come scrive nella lettera a Domenico di Boninsegni alle fine di dicembre 1518:
“…e’ marmi di San Lorenzo. Io gli ò allogati già tre volte, ettuct’a tre sono rimasto gabato e questo perché gli scarpellini di qua non s’ intendono de’ marmi e visto che e’ non riesce loro, si vanno con Dio. E così ho buttato via parechi centinaia di ducati; e per questo mi è bisognato starvi qualche volta amme, e mectergli in opera e a mostrar loro è versi de’ marmi…”
Dopo una serie di incidenti anche nel carico sulle navi, fraintendimenti col marchese Alberico Malaspina,
Michelangelo commissiona dei blocchi ai Carraresi, e comunica al cardinale Giulio dei Medici di aver trovato questi cavatori “più umili che non sogliono”. Il Papa momentaneamente rinuncia al progetto di sfruttare le cave di Serravezza e accetta Carrara, così come vuole Michelangelo.
Il Vasari, artista a servizio dei Medici, nel suo “Dell’Architettura” sarà l’unico che elogerà i marmi delle cave di Pietrasanta, di proprietà dei Medici.
Le cose continuano ad andare a rilento e il cardinale Giulio Della Rovere invia il segretario papale Pallavicino nello studio di Michelangelo a Firenze, dove trova con soddisfazione 4 statue sbozzate per la facciata di San Lorenzo.
Per controllare le forniture, perennemente in ritardo dei marmi per la facciata di San Lorenzo , Michelangelo manda a cavallo più volte alle cave carraresi il suo discepolo Pietro Urbano insieme ad un garzone. Compito difficile, perché riuscire ad individuare nei blocchi i peli, cioè le microfratture, e ancor di più riuscire a capire che direzione prendono all’ interno del blocco, è difficilissimo. Tant’ è vero che anche nel marmo della Pietà di Firenze durante il restauro è apparsa una di queste microfratture, e in quello del Mosè un pelo evidente parte dal mantello e attraversa il ginocchio destro.
Nel suo studio di via Mozza a Firenze, Michelangelo, aiutato dal settignanese Maestro Domenico di Giovanni di Bertino detto Topolino, continua la lavorazione dei marmi per la facciata. Vengono inoltre eseguite le fondazioni della nuova facciata.
Ma nel 1519-1520 il lavoro alla facciata viene bloccato: il Papa sembra non essere più interessato, o forse anche per la mancanza di fondi (Vasari). Tra febbraio e marzo 1520 il contratto viene annullato: Michelangelo è amareggiato, anche perché la vera ragione del blocco dei lavori non gli viene detta, e scrive che a causa degli infiniti spostamenti per Carrara e Pietrasanta “…sono stato a cavallo otto mesi…“.
I marmi ancora nelle cave vengono acquistati in parte dal Sansovino, in parte sono inviati a Napoli per Vittorio Ghiberti (figlio di Lorenzo Ghiberti).
Ma presto Michelangelo si rincuora: riceve da Giulio dei Medici, il futuro papa Clemente VII, l’ incarico di progettare la Sacrestia Nuova in San Lorenzo, per custodire le tombe di Lorenzo il Magnifico e del fratello Giuliano, di Lorenzo duca d’ Urbino (settimo figlio di Lorenzo il Magnifico), e di Giuliano duca di Nemours (nipote di Lorenzo il Magnifico).
Nel 1521 riceve 200 ducati dal cardinale Giulio e il 9 aprile torna a Carrara ad ordinare i marmi per le tombe della Sacrestia Nuova. Si ferma circa 20 giorni facendo le misure di dette sepolture di terra e disegnandole. Ritorna nella casa del cavatore Francesco Pelliccia, come suo solito a Carrara, ordina 200 carrate di marmo specificate sul contratto notarile che stipula il 23 aprile con i cavatori Pollina, Leone e Bello. Il 2 aprile stipula un’altro contratto per 100 carrate di marmo con i cavatori Marcuccio e Francione del Ferraro.
Fin dal 1520 Michelangelo disegna vari progetti per le tombe, che discute col cardinale Giulio. Nel 1524 creai i modelli definitivi che inizia a scolpire. Nel 1526 viene murata nella cappella la prima tomba, quella di Lorenzo duca d’ Urbino con la statua di Lorenzo in posa di pensatore e le allegorie dell’Aurora e del Crepuscolo.
Successivamente scolpisce, con l’aiuto del Montorsoli, quella di Giuliano duca di Nemours con le allegorie della Notte e del Giorno.
Le vicende relative alle forniture dei marmi da Carrara si fanno ingarbugliate e complesse, Michelangelo torna più volte a Carrara, ma è troppo impegnato a Firenze e lascia suoi secondi a gestire le estrazioni. Ma il lavoro alla Sacrestia Nuova va avanti.
Nel 1527 a seguito della crisi tra il papa Clemente VII dei Medici e l’imperatore Carlo V d’ Asburgo il popolo fiorentino, fomentato dal frate Girolamo Savonarola, scaccia i Medici da Firenze istituendo un governo Repubblicano. Michelangelo collabora col nuovo governo occupandosi delle fortificazioni. Nel 1530 Firenze viene assediata e si arrende nel 1532, il governo repubblicano viene sostituito dalla signoria medicea di Alessandro dei Medici, figlio illegittimo del papa Clemente VII.
Al ritorno dei Medici Michelangelo riprende i lavori per la Sacrestia Nuova che proseguno fino al 1534, anno in cui va a Roma ad affrescare la Cappella Sistina.