Fonderia, aspetti nascosti

Le fusioni a cera persa in bronzo presuppongono un lungo lavoro di artigiani specializzatissimi. Questo è vero in particolar modo per l’esecuzione di repliche dei maggiori capolavori d’arte. Quando una scultura in bronzo esce dalla fonderia, ha una splendida patina, lucida, pulita, affascinante.
Ma il lavoro che porta dal calco alla scultura finita viene eseguito in spazi e zone disordinati, polverosi, imbrattati di cera e di altri materiali, come un po’ accade in tutte le botteghe artigiane. Se vogliamo, abbastanza sporchi, forse di uno sporco “artistico”, ma comunque sporco. Lo sporco sottile, la polvere, viene catturata dagli aspiratori presenti dappertutto; rimane lo sporco più pesante e appiccicaticcio.

Nella Fonderia Marinelli, come in qualunque fonderia artistica a cera persa, ci sono zone, particolari, oggetti che normalmente non appaiono nelle immagini, ma che rappresentano anch’esse il lavoro preparatorio per le fusioni in bronzo.
Recentemente una artista che adopra la fotografia come mezzo espressivo è venuta a farci visita in Fonderia, chiedendo di fotografare appunto fasi e zone di lavoro. Ha fatto centinaia di scatti, scegliendone alcuni che ci ha cortesemente fatto avere, e che proponiamo in questo blog.
Il lavabo della zona in cui viene impastato il materiale refrattario per coprire le cere, il cossidetto”loto”.

Relative al “loto” sono anche altre due immagini: i sacchi di polvere di mattone macinato e le “calderelle” usate anche in mille altri mestieri, e grandi sacchi in cui il loto macinato viene conservato per essere riusato.

Una maggiore quantità di scatti fotografici è stata fatta per il reparto in cui vengono eseguite e poi ritoccate le cere.

Una volta eseguite e ritoccate le cere, prima di essere rivestite col “loto”, hanno bisogno di essere circondate da una rete di canali che serviranno a portare il bronzo fuso in ogni parte, canali che vengono eseguiti con semplici canne di fiume.

L’artista ci ha chiesto di poter tornare in Fonderia per fotografare anche il lavoro (e lo sporco!) sul bronzo.


La Fonderia del Giambologna

Giambologna a Firenze

Giambologna, ritratto dal pittore Hendrick Goltzius,

giunge a Firenze agli inizi degli anni ’50 del 1500, ospitato per due o tre anni da Bernardo Vecchietti, che lo presentò a Francesco I dei Medici facendolo prendere a suo servizio.

Il Medici, che si stava trasferendo dal palazzo della Signoria in palazzo Pitti lo ospitò nel palazzo della Signoria. Giambologna poco dopo traslocò prendendo in affitto una casa (casa Vietti) in Borgo San Jacopo, e circa un anno dopo andò ad abitare in Borgo Pinti. Infatti qui acquistò per 2.000 scudi, più 600 di spese, la casa con bottega all’attuale numero civico 26 di tale via, diventato poi palazzo Bellini delle Stelle.

I Medici e la Fonderia

Nel 1587 a Francesco I succedette il fratello Ferdinando I, che ancora di più stimava il Giambologna, tanto da disporre a spese della città la costruzione di una nuova fonderia al posto della vecchia bottega. I lavori ebbero inizio il 12 dicembre del 1587. Nel gennaio del 1588 era già stato posto in opera il tetto, e successivamente fu rifatta la facciata sulla strada, ancora oggi presente.

Alla facciata su applicato in alto lo stemma del Giambologna, e, sopra la porta d’ingresso, il busto di Francesco I scolpito dallo stesso Giambologna,

e lo stanzone della fonderia a cera persa fu costruito accanto, col grande portone.

Si provvide subito a trasferirvi i modelli che il Giambologna aveva nella bottega di palazzo Vecchio, compreso il modello in creta del monumentale Ratto delle Sabine. L’artista potè così fondere in proprio i grandi monumenti senza più servirsi delle altre fonderie granducali fiorentine, quella della Fortezza da Basso e quella alla Sapienza.

I Medici a cavallo

La prima fusione che vi fu eseguita era quella del monumento Equestre di Cosimo I oggi in piazza Signoria,

gettato nella notte tra il 27 e il 28 Settembre 1591, a cui parteciparono il veneziano Giuliano Alberghetti insieme ad altri. Al getto assistette anche il figlio di Cosimo I, Don Giovanni dei Medici.

Era una fonderia che non aveva paragoni in tutta Europa, e che durò fino alla metà del ‘700, quando i lavoranti si sparpagliarono in altre fonderie. Tra gli altri vi lavorarono Pietro Francavilla, Susini, Francesco e Guasparri Della Bella (fratelli di Stefano della Bella).

La difficoltà della fusione a cera persa

I tre anni trascorsi dalla costruzione della fonderia al getto del monumento equestre di Cosimo I dimostrano le difficoltà incontrate nell’impresa, tanto da chiedere l’intervento dell’esperto fonditore veneto Giovanni Alberghetti per approntare la fornace adatta. Per il Cosimo I e per il Ferdinando I, dopo il riempimento delle cere con l’anima si attese quasi un anno per permettere a questa di asciugare bene durante la bella stagione. Per il Ferdinando I passarono poi altri tre anni tra il getto del cavallo e quello del cavaliere, fuso nel novembre del 1605.

Ritorna la moda del cavaliere a cavallo

Da questa fonderia uscirono poi mano a mano i cavalli per le piazze di Firenze, Madrid, Parigi: il monumento equestre di Ferdinando II in piazza SS. Annunziata (del Giambologna ma terminato, dopo la sua morte nel 1608, dal Tacca); il monumento equestre di Filippo III di Spagna, del 1616, del Giambologna e terminata dal Tacca (regalo del Granduca de’ Medici al Re di Spagna);

il monumento equestre di Enrico IV di Francia voluto dalla moglie Maria de’ Medici dopo la di lui morte. Il monumento subì varie vicissitudini, fu perso in mare durante il trasporto a causa di un naufragio, fu recuperato e trasportato e collocato sul Pont Neuf a Parigi; fu poi distrutto durante la Rivoluzione Francese. Ma grazie al ritrovamento del calco negativo, nel 1818 fu possibile eseguirne una seconda replica.

Giambologna va in pensione

Al crescere degli ordini corrispose il decadere fisico del Giambologna, tanto che fu costretto, anche se di buon grado, a cedere le redini della fonderia al Tacca non ancora venticinquenne, che ne divenne proprietario alla sua morte, nonostante diverbi con gli eredi.
La bottega di Borgo Pinti era infatti diventata una grande fonderia artistica dove il Tacca era entrato nel 1592 e si era formato anche come fonditore. Tacca iniziò il suo tirocinio tra il Marzo e il Giugno con il compito di rifinire la base del monumento di Cosimo I, fino a diventare, in pochi anni, capo della fonderia, e destinato a completare le ultime opere del Giambologna.
Il monumento fu posto e inaugurato ai primi di ottobre del 1608, per l’arrivo di Maria Maddalena d’Austria, che il 18 Ottobre veniva a sposare Cosimo II, figlio di Ferdinando I.

I bravi discepoli

L’esperienza e l’abilità della squadra dei fonditori aumentava via via: si riuscì ad ottenere la fusione del Ferdinando I più sottile di quella del Cosimo I, tanto da farla pesa meno del solo cavallo di Cosimo I. Gli spessori si affinarono sempre di più, l’Enrico IV di Francia risultò ancora più sottile e leggero, quello di Filippo IV di Spagna il più leggero di tutti.

Con quest’ultimo si inaugurò la tecnica della fusione in più parti, dimostrando di aver acquisito e perfezionato la tecnica di assemblaggio e di saldatura delle fusioni, che fu continuata ad essere usata come, per esempio, nelle due fontane degli animali marini in piazza SS. Annunziata a Firenze.

La fusione "indiretta" e le repliche

La tecnica della fusione a cera persa, detta indiretta, permetteva la riproducibilità di un modello in più esemplari di bronzo. I Medici avevano molto presto capito, già a partire dal 1564, che le opere d’arte erano doni diplomatici ideali. Così il Granduca Cosimo I e il figlio Francesco I fecero consegnare all’Imperatore Massimiliano II, futuro cognato del più giovane dei Medici, tre repliche di bronzi del Giambologna: il Mercurio a grandezza originale,

una replica di Venere identica a quella firmata dall’artista e infine un bassorilievo con l’ allegoria di Francesco I

(entrambi al Kunsthistorisches Museum a Vienna); di quest’ ultimo esiste una replica al Museo Nazionale del Bargello di Firenze.
Il Giambologna stesso aveva organizzato nella sua fonderia artistica la produzione di più repliche dei suoi modelli originali, che quando nel 1580 l’ allievo-aiutante Antonio Susini entrò nella bottega del maestro, la riproduzione ripetuta dei suoi modelli continuò; e continuò anche quando il Susini nel 1600 aprì la propria bottega in via della Pergola a Firenze, riproduzione che era ancora in atto fino a tutto il tardo ‘600.
Ma fu il Tacca che aveva iniziato a creare modelli ridotti dell’arte classica e dei capolavori di Michelangelo, riduzioni per quest’ ultimo andate perse.
Il Tacca fu anche l’ artefice del “Porcellino”, il cinghiale, posto all’ esterno del Mercato Nuovo a Firenze.

Esiste un filo rosso che unisce la fonderia rinascimentale del Giambologna e dei suoi allievi con la Fonderia Ferdinando Marinelli di oggi: da maestro in discepolo, da capofonderia in apprendista la conoscenza e le tecniche dell’ antica arte della fusione a cera persa sono arrivate, senza interruzione, alla Fonderia Marinelli.

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La Chimera Etrusca

Nel 1553 ad Arezzo, durante gli scavi per le fondazioni della fortezza medicea, si rinvenne un bronzo di uno strano animale con la testa di leone, il corpo di pantera e con una testa di capra appiccicata sul dorso, come scrisse il Vasari. Fu subito riconosciuta come la mitologica Chimera, e fu portata in Palazzo Vecchio a Firenze per volere di Cosimo I de’ Medici che la aggiunse alla sua collezione di antichità, poi trasferita in palazzo Pitti. Continuando i lavori della fortezza medicea di Arezzo venne rinvenuta anche la coda, terminante con la testa di serpente, e che solo nel ‘600, con un restauro grossolano, fu applicata al corpo, ma in posizione sbagliata.
Più tardi, nel ‘700 fu portata nella Galleria degli Uffizi, e finalmente nel palazzo che diventerà alla fine dell’ 800 il Museo Archeologico di Firenze dove è stata inventariata col n. 1.

Si tratta di una fusione in bronzo etrusca del IV secolo a.C., sulla gamba destra appare un’iscrizione etrusca dedicatoria al dio Tinia.

Gli identici

Più volte questo magnifico bronzo è stato richiesto per essere esposto sia in mostre che musei di varie parti del mondo hanno allestito. Ed è nato un serio problema: se nel trasporto per nave o per aereo l’originale va perduto come si fa? Perdere un tale capolavoro sarebbe una tragedia ed un delitto. È nato quindi da parte della Soprintendenza Archeologica il progetto degli “identici”, la creazione cioè di repliche assolutamente identiche di questi bronzi, da inviare alle varie mostre e tenere l’originale nel Museo.

Il calco sull'originale

Il Museo archeologico di Firenze ha quindi contattato attraverso la Galleria Bazzanti la Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli, per iniziare a parlare della possibilità di eseguire un calco negativo non solo sulla Chimera Etrusca, ma anche su altri due bronzi etruschi del Museo: la Minerva Etrusca, e l’Idolino, per poi fondere gli identici. Constatata la capacità e la qualità lavorativa della fonderia, ha dato l’incarico.
I nostri tecnici hanno raggiunto i laboratori della Soprintendenza Archeologica ed hanno iniziato ad eseguire, con estrema attenzione, il calco della Chimera in gomma siliconica e madreforma in gesso.

Dal calco, trasportato con cura in fonderia, hanno ottenute e ritoccate le cere a cui hanno applicato le colate, eseguita e lavorata la fusione, assemblate e saldate le parti.

L’“identico” della Chimera è stata esposta al Museo Archeologico, ed è stata inviata poi all’esposizione “Seduzione Etrusca. Dai segreti di Holkham Hall alle meraviglie del British Museum”.

Gli amici della Chimera

Ferdinando Marinelli, titolare della Fonderia Artistica, è stato poi invitato al Museo Archeologico di Firenze a tenere una breve conferenza sugli “Identici” agli addetti ai lavori.
In quell’occasione è nato anche il gruppo “Gli Amici della Chimera” con sede al Museo Archeologico di Firenze.