Fonderia, aspetti nascosti

Le fusioni a cera persa in bronzo presuppongono un lungo lavoro di artigiani specializzatissimi. Questo è vero in particolar modo per l’esecuzione di repliche dei maggiori capolavori d’arte. Quando una scultura in bronzo esce dalla fonderia, ha una splendida patina, lucida, pulita, affascinante.
Ma il lavoro che porta dal calco alla scultura finita viene eseguito in spazi e zone disordinati, polverosi, imbrattati di cera e di altri materiali, come un po’ accade in tutte le botteghe artigiane. Se vogliamo, abbastanza sporchi, forse di uno sporco “artistico”, ma comunque sporco. Lo sporco sottile, la polvere, viene catturata dagli aspiratori presenti dappertutto; rimane lo sporco più pesante e appiccicaticcio.

Nella Fonderia Marinelli, come in qualunque fonderia artistica a cera persa, ci sono zone, particolari, oggetti che normalmente non appaiono nelle immagini, ma che rappresentano anch’esse il lavoro preparatorio per le fusioni in bronzo.
Recentemente una artista che adopra la fotografia come mezzo espressivo è venuta a farci visita in Fonderia, chiedendo di fotografare appunto fasi e zone di lavoro. Ha fatto centinaia di scatti, scegliendone alcuni che ci ha cortesemente fatto avere, e che proponiamo in questo blog.
Il lavabo della zona in cui viene impastato il materiale refrattario per coprire le cere, il cossidetto”loto”.

Relative al “loto” sono anche altre due immagini: i sacchi di polvere di mattone macinato e le “calderelle” usate anche in mille altri mestieri, e grandi sacchi in cui il loto macinato viene conservato per essere riusato.

Una maggiore quantità di scatti fotografici è stata fatta per il reparto in cui vengono eseguite e poi ritoccate le cere.

Una volta eseguite e ritoccate le cere, prima di essere rivestite col “loto”, hanno bisogno di essere circondate da una rete di canali che serviranno a portare il bronzo fuso in ogni parte, canali che vengono eseguiti con semplici canne di fiume.

L’artista ci ha chiesto di poter tornare in Fonderia per fotografare anche il lavoro (e lo sporco!) sul bronzo.


La Fonderia del Giambologna

Giambologna a Firenze

Giambologna, ritratto dal pittore Hendrick Goltzius,

giunge a Firenze agli inizi degli anni ’50 del 1500, ospitato per due o tre anni da Bernardo Vecchietti, che lo presentò a Francesco I dei Medici facendolo prendere a suo servizio.

Il Medici, che si stava trasferendo dal palazzo della Signoria in palazzo Pitti lo ospitò nel palazzo della Signoria. Giambologna poco dopo traslocò prendendo in affitto una casa (casa Vietti) in Borgo San Jacopo, e circa un anno dopo andò ad abitare in Borgo Pinti. Infatti qui acquistò per 2.000 scudi, più 600 di spese, la casa con bottega all’attuale numero civico 26 di tale via, diventato poi palazzo Bellini delle Stelle.

I Medici e la Fonderia

Nel 1587 a Francesco I succedette il fratello Ferdinando I, che ancora di più stimava il Giambologna, tanto da disporre a spese della città la costruzione di una nuova fonderia al posto della vecchia bottega. I lavori ebbero inizio il 12 dicembre del 1587. Nel gennaio del 1588 era già stato posto in opera il tetto, e successivamente fu rifatta la facciata sulla strada, ancora oggi presente.

Alla facciata su applicato in alto lo stemma del Giambologna, e, sopra la porta d’ingresso, il busto di Francesco I scolpito dallo stesso Giambologna,

e lo stanzone della fonderia a cera persa fu costruito accanto, col grande portone.

Si provvide subito a trasferirvi i modelli che il Giambologna aveva nella bottega di palazzo Vecchio, compreso il modello in creta del monumentale Ratto delle Sabine. L’artista potè così fondere in proprio i grandi monumenti senza più servirsi delle altre fonderie granducali fiorentine, quella della Fortezza da Basso e quella alla Sapienza.

I Medici a cavallo

La prima fusione che vi fu eseguita era quella del monumento Equestre di Cosimo I oggi in piazza Signoria,

gettato nella notte tra il 27 e il 28 Settembre 1591, a cui parteciparono il veneziano Giuliano Alberghetti insieme ad altri. Al getto assistette anche il figlio di Cosimo I, Don Giovanni dei Medici.

Era una fonderia che non aveva paragoni in tutta Europa, e che durò fino alla metà del ‘700, quando i lavoranti si sparpagliarono in altre fonderie. Tra gli altri vi lavorarono Pietro Francavilla, Susini, Francesco e Guasparri Della Bella (fratelli di Stefano della Bella).

La difficoltà della fusione a cera persa

I tre anni trascorsi dalla costruzione della fonderia al getto del monumento equestre di Cosimo I dimostrano le difficoltà incontrate nell’impresa, tanto da chiedere l’intervento dell’esperto fonditore veneto Giovanni Alberghetti per approntare la fornace adatta. Per il Cosimo I e per il Ferdinando I, dopo il riempimento delle cere con l’anima si attese quasi un anno per permettere a questa di asciugare bene durante la bella stagione. Per il Ferdinando I passarono poi altri tre anni tra il getto del cavallo e quello del cavaliere, fuso nel novembre del 1605.

Ritorna la moda del cavaliere a cavallo

Da questa fonderia uscirono poi mano a mano i cavalli per le piazze di Firenze, Madrid, Parigi: il monumento equestre di Ferdinando II in piazza SS. Annunziata (del Giambologna ma terminato, dopo la sua morte nel 1608, dal Tacca); il monumento equestre di Filippo III di Spagna, del 1616, del Giambologna e terminata dal Tacca (regalo del Granduca de’ Medici al Re di Spagna);

il monumento equestre di Enrico IV di Francia voluto dalla moglie Maria de’ Medici dopo la di lui morte. Il monumento subì varie vicissitudini, fu perso in mare durante il trasporto a causa di un naufragio, fu recuperato e trasportato e collocato sul Pont Neuf a Parigi; fu poi distrutto durante la Rivoluzione Francese. Ma grazie al ritrovamento del calco negativo, nel 1818 fu possibile eseguirne una seconda replica.

Giambologna va in pensione

Al crescere degli ordini corrispose il decadere fisico del Giambologna, tanto che fu costretto, anche se di buon grado, a cedere le redini della fonderia al Tacca non ancora venticinquenne, che ne divenne proprietario alla sua morte, nonostante diverbi con gli eredi.
La bottega di Borgo Pinti era infatti diventata una grande fonderia artistica dove il Tacca era entrato nel 1592 e si era formato anche come fonditore. Tacca iniziò il suo tirocinio tra il Marzo e il Giugno con il compito di rifinire la base del monumento di Cosimo I, fino a diventare, in pochi anni, capo della fonderia, e destinato a completare le ultime opere del Giambologna.
Il monumento fu posto e inaugurato ai primi di ottobre del 1608, per l’arrivo di Maria Maddalena d’Austria, che il 18 Ottobre veniva a sposare Cosimo II, figlio di Ferdinando I.

I bravi discepoli

L’esperienza e l’abilità della squadra dei fonditori aumentava via via: si riuscì ad ottenere la fusione del Ferdinando I più sottile di quella del Cosimo I, tanto da farla pesa meno del solo cavallo di Cosimo I. Gli spessori si affinarono sempre di più, l’Enrico IV di Francia risultò ancora più sottile e leggero, quello di Filippo IV di Spagna il più leggero di tutti.

Con quest’ultimo si inaugurò la tecnica della fusione in più parti, dimostrando di aver acquisito e perfezionato la tecnica di assemblaggio e di saldatura delle fusioni, che fu continuata ad essere usata come, per esempio, nelle due fontane degli animali marini in piazza SS. Annunziata a Firenze.

La fusione "indiretta" e le repliche

La tecnica della fusione a cera persa, detta indiretta, permetteva la riproducibilità di un modello in più esemplari di bronzo. I Medici avevano molto presto capito, già a partire dal 1564, che le opere d’arte erano doni diplomatici ideali. Così il Granduca Cosimo I e il figlio Francesco I fecero consegnare all’Imperatore Massimiliano II, futuro cognato del più giovane dei Medici, tre repliche di bronzi del Giambologna: il Mercurio a grandezza originale,

una replica di Venere identica a quella firmata dall’artista e infine un bassorilievo con l’ allegoria di Francesco I

(entrambi al Kunsthistorisches Museum a Vienna); di quest’ ultimo esiste una replica al Museo Nazionale del Bargello di Firenze.
Il Giambologna stesso aveva organizzato nella sua fonderia artistica la produzione di più repliche dei suoi modelli originali, che quando nel 1580 l’ allievo-aiutante Antonio Susini entrò nella bottega del maestro, la riproduzione ripetuta dei suoi modelli continuò; e continuò anche quando il Susini nel 1600 aprì la propria bottega in via della Pergola a Firenze, riproduzione che era ancora in atto fino a tutto il tardo ‘600.
Ma fu il Tacca che aveva iniziato a creare modelli ridotti dell’arte classica e dei capolavori di Michelangelo, riduzioni per quest’ ultimo andate perse.
Il Tacca fu anche l’ artefice del “Porcellino”, il cinghiale, posto all’ esterno del Mercato Nuovo a Firenze.

Esiste un filo rosso che unisce la fonderia rinascimentale del Giambologna e dei suoi allievi con la Fonderia Ferdinando Marinelli di oggi: da maestro in discepolo, da capofonderia in apprendista la conoscenza e le tecniche dell’ antica arte della fusione a cera persa sono arrivate, senza interruzione, alla Fonderia Marinelli.

Vai a Fonderia Marinelli (Storia)


La Chimera Etrusca

Nel 1553 ad Arezzo, durante gli scavi per le fondazioni della fortezza medicea, si rinvenne un bronzo di uno strano animale con la testa di leone, il corpo di pantera e con una testa di capra appiccicata sul dorso, come scrisse il Vasari. Fu subito riconosciuta come la mitologica Chimera, e fu portata in Palazzo Vecchio a Firenze per volere di Cosimo I de’ Medici che la aggiunse alla sua collezione di antichità, poi trasferita in palazzo Pitti. Continuando i lavori della fortezza medicea di Arezzo venne rinvenuta anche la coda, terminante con la testa di serpente, e che solo nel ‘600, con un restauro grossolano, fu applicata al corpo, ma in posizione sbagliata.
Più tardi, nel ‘700 fu portata nella Galleria degli Uffizi, e finalmente nel palazzo che diventerà alla fine dell’ 800 il Museo Archeologico di Firenze dove è stata inventariata col n. 1.

Si tratta di una fusione in bronzo etrusca del IV secolo a.C., sulla gamba destra appare un’iscrizione etrusca dedicatoria al dio Tinia.

Gli identici

Più volte questo magnifico bronzo è stato richiesto per essere esposto sia in mostre che musei di varie parti del mondo hanno allestito. Ed è nato un serio problema: se nel trasporto per nave o per aereo l’originale va perduto come si fa? Perdere un tale capolavoro sarebbe una tragedia ed un delitto. È nato quindi da parte della Soprintendenza Archeologica il progetto degli “identici”, la creazione cioè di repliche assolutamente identiche di questi bronzi, da inviare alle varie mostre e tenere l’originale nel Museo.

Il calco sull'originale

Il Museo archeologico di Firenze ha quindi contattato attraverso la Galleria Bazzanti la Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli, per iniziare a parlare della possibilità di eseguire un calco negativo non solo sulla Chimera Etrusca, ma anche su altri due bronzi etruschi del Museo: la Minerva Etrusca, e l’Idolino, per poi fondere gli identici. Constatata la capacità e la qualità lavorativa della fonderia, ha dato l’incarico.
I nostri tecnici hanno raggiunto i laboratori della Soprintendenza Archeologica ed hanno iniziato ad eseguire, con estrema attenzione, il calco della Chimera in gomma siliconica e madreforma in gesso.

Dal calco, trasportato con cura in fonderia, hanno ottenute e ritoccate le cere a cui hanno applicato le colate, eseguita e lavorata la fusione, assemblate e saldate le parti.

L’“identico” della Chimera è stata esposta al Museo Archeologico, ed è stata inviata poi all’esposizione “Seduzione Etrusca. Dai segreti di Holkham Hall alle meraviglie del British Museum”.

Gli amici della Chimera

Ferdinando Marinelli, titolare della Fonderia Artistica, è stato poi invitato al Museo Archeologico di Firenze a tenere una breve conferenza sugli “Identici” agli addetti ai lavori.
In quell’occasione è nato anche il gruppo “Gli Amici della Chimera” con sede al Museo Archeologico di Firenze.


La replica del Dace Pileatus di Boboli

Dopo una prima sconfitta subìta alla fine del I secolo d.C. dall’esercito romano comandato dall’imperatore Domiziano, agli inizi del II secolo d. C. l’imperatore Traiano con ben 15 legioni riuscì a sconfiggere e a sottomettere il popolo dei Daci col suo re Decebalo, annettendo i suoi territori all’impero romano. I Daci si dimostrarono fortissimi guerrieri e la conquista costò moltissime vite ai Romani, che però portarono a Roma il tesoro di Decebalo, cioè un enorme bottino d’oro e d’argento, oltre a 500.000 prigionieri fatti schiavi.

La vittoria sui Daci fu così difficile e importante da rimanere impressa per alcuni secoli a seguire: al ritorno di Traiano fu eretta a Roma la celebre Colonna Traiana in cui sono scolpite in una spirale continua le vittorie dell’imperatore su questo popolo. Ed anche successivamente vennero rappresentati in molti monumenti figure di Daci, col tipico berretto frigio, incatenati e vinti, come ad esempio alla base dell’arco di Costantino eretto due secoli dopo.

Alcuni importanti cittadini di Bucarest (Presidente Esecutivo dell’Associazione di Identità Culturale Contemporanea di Bucarest Florin C. Pîrlea, insieme al Professore di Storia dell’ Arte Romana dell’Università di Perpignon, Francia e Presidente Onorario dell’ Associazione Dr. Leonard Velcescu) sono venuti a trovarci in Galleria Bazzanti per farci conoscere il desiderio del popolo rumeno di avere una replica fedele di una delle statue di un nobile dei Daci a grandezza originale, conservata nel Giardino di Boboli a Firenze da collocare in una Piazza della Città di Bucarest.

Dopo la firma dell’accordo, lo Studio di Scultura Bazzanti ne ha rilevato con precisione il modello (è importante che la replica sia fedelissima) e ha iniziato la complicata ricerca del marmo. È stato scelto un blocco di “Rosso Laguna” estratto da una cava in Turchia che è stato inviato allo Studio per l’esecuzione “ai punti” dell’Opera (antico sistema di scultura che garantisce la fedeltà della replica scolpita).

Il blocco è stato segato portandolo alla giusta misura per la scultura.

Si festeggia con la commissione rumena, come d’obbligo, l’inizio del lavoro con un pranzo a Pietrasanta, successivamente il lavoro è progredito fino a raggiungere lo stadio di pre-finitura, invitando di nuovo la Commissione Rumena a visitare l’opera.

All’ultimo collaudo e approvazione della magnifica replica finita, come è stata da loro definita, si festeggia la buona riuscita dell’Opera pranzando e brindando con ottimi vini della Romania in un noto ristorante di Colonnata.

La statua viene poi imballata in attesa della partenza per Bucharest.


Il Lungarno Corsini e la Galleria Bazzanti

Seconda Parte

I Corsini

Provenienti da Castelvecchio di Poggibonsi, i Corsini si inurbarono a Firenze alla metà dell’ XII secolo, nel popolo di San Felice in Piazza, e fecero una rapidissima carriera sia commerciale come banchieri, sia politica nella città dove ebbero importanti cariche.
Nel ‘500 e nel ‘600 le proprietà sul Lungarno cambiarono, arrivarono gli Ardinghelli, gli Altoviti, l’ arcivescovo Scarampi, Machiavelli, e personaggi di Casa Medici.
I Corsini iniziarono con l’ acquistare nel 1604 in questa zona delle case dei Machiavelli, nel 1648 il casino di Don Lorenzo dei Medici, nel 1649 Maria Maddalena Machiavelli sposò il marchese Filippo Corsini portando in dote altre proprietà. Gli acquisti continuarono fino al 1728, tra cui le case di Niccolò Compagni che poi vennero inglobate nel Palazzo Corsini: abbiamo già detto che se ne vedono resti in via del Parione.

Intanto nel 1730 il cardinale Lorenzo Corsini, tesoriere Vaticano, fu fatto Papa col nome di Clemente XII, grande mecenate dell’arte (Fontana di Trevi, facciata della basilica di San Giovanni in Laterano, Musei Capitolini). E forse proprio per questo nei locali del proprio palazzo è sorto lo studio di scultura in marmo, poi Galleria Bazzanti.

Il Palazzo Corsini

La costruzione ebbe inizio nel 1656 con la consulenza dell’ architetto Alfonso Parisi Jr. che dopo qualche anno fu sostituito da Ferdinando Tacca, celebre anche per le sue sculture e erede della fonderia a cera persa del Giambologna. Dal 1679 al 1681 l’impresa passò all’architetto Pierfrancesco Silvani, che ne progettò i volumi, e alla di lui morte nel 1685 subentrò l’architetto Anton Maria Ferri che dette alla costruzione l’aspetto attuale. Il palazzo fu completato nel 1737 rinunciando al corpo destro della costruzione, che risulta infatti asimmetrica.

Il Laboratorio di scultura. La Galleria Bazzanti

Dopo l’ala sinistra del palazzo, c’è una terrazza, sempre proprietà Corsini, sotto alla quale ci sono dei locali ad un unico piano, come si vede bene nella stampa dello Zocchi (citata nella Prima Parte). Locali che attraversano tutta la costruzione fino ad arrivare nella retrostante via del Parione. Dalla fine del ‘600 questi locali hanno ospitato una serie ininterrotta di scalpellini, ornatisti e scultori di pietra e marmo “interni” al palazzo Corsini, che hanno lavorato cioè per la decorazione e la finitura del palazzo stesso, interna ed esterna. L’ultimo della serie, Luigi Bozzolini ha lavorato qui dal 1815. A questo subentrò nel 1822 lo scultore Pietro Bazzanti con il figlio Niccolò.

Negli anni a seguire la Galleria, pur mantenendo lo stesso nome Bazzanti, fu ceduta ad altri proprietari.

Lo studio di scultura fu spostato altrove e la Galleria Bazzanti diventò lo show room per la vendita delle sculture e delle repliche di classici in marmo.


Il progetto "Little Florence", la replica del David di Michelangelo

Nel Gennaio del 2017 viene in visita alla Galleria Bazzanti il Dottor Wei He, creatore del Campus universitario “He University” a Shenyang.

È alla ricerca di repliche in marmo e bronzo dei capolavori antichi e rinascimentali. Cerca sculture create solo su calchi tratti dagli originali, eseguiti con le stesse tecniche in uso nel Rinascimento. Il Professore vuole dare vita nel grande Campus al progetto “Little Florence”, una raccolta appunto di repliche perfette ed emozionanti di tutti i capolavori del Rinascimento fiorentino. Dopo aver visitato la Galleria Bazzanti e la Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli, richiede una consulenza di Ferdinando Marinelli al Campus universitario in Cina.

Nel Settembre il Dottor Wei He, l’ambasciatore della Cina, autorità locali e Ferdinando Marinelli salgono nelle cave michelangiolesche di marmo bianco statuario a Carrara. Il Dottore ha ordinato la riproduzione del David di Michelangelo in grandezza originale. Viene firmato il contratto su un blocco di marmo, a cui segue il pranzo di festeggiamenti, ed una visita allo Studio Bazzanti di scultura presso le cave.

Le richieste del Dottor Wei He sono categoriche: il lavoro deve essere perfetto. Il primo passo sarà quindi quello del reperimento del gigantesco blocco di marmo bianco di Carrara; gli scultori dello Studio di scultura Bazzanti dovranno studiare ogni blocco, delle dimensioni adatte, estratto: dovranno capire dalle macchie in superficie se “portano” (come si dice in gergo dei marmisti) delle striature interne e che andamento avranno nel blocco, e se avrà fessurazioni o crepe interne che potrebbero compromettere l’opera. La scelta non sarà facile perché solo un blocco perfetto sarà quello da cui nascerà il capolavoro. La ricerca del blocco giusto richiede alcuni mesi, fino a quando quello realmente “giusto”, del peso di circa 40 tonnellate, viene reperito.

Vengono eseguiti ulteriori controlli e misurazioni: ci siamo, il blocco viene caricato sul camion e trasportarlo e posizionato allo Studio Bazzanti di scultura.

Dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli viene trasportato allo Studio il modello in gesso tratto dall’originale che servirà per l’esecuzione esatta del marmo e viene posizionato accanto al blocco di marmo.

Inizia il lavoro: viene eseguito un primo “sbozzo” per avvicinare il blocco alle dimensioni del David, poi un secondo sbozzo, un terzo sbozzo, fino ad avvicinarsi alle forme e agli identici volumi del David originale.

Tutto questo con la “tecnica ai punti” e l’uso della “macchinetta”, un antico sistema di pantografo a tre dimensioni dall’aspetto rudimentale ma precisissimo, di cui parleremo in futuro.
Il lavoro è ancora in corso!


Il Lungarno Corsini e la Galleria Bazzanti

Prima Parte

Firenze romana

Firenze, città romana fondata nel I secolo a.C., ebbe le sue mura in laterizio con fossato di difesa, ottenuto spostando il fiumicello Mugnone lungo di esse, cioè nell’ attuale via Tornabuoni, strada che attualmente termina nel Lungarno Corsini. Le mura continuarono ad essere adoperate e manutenute fino a dopo il 1000. Nel 1078 furono allargate verso l’Arno per inglobare i nuovi sobborghi nati in riva al fiume. Ancora la Galleria Bazzanti non era stata aperta!

Firenze nel medioevo

Il XII secolo fu un secolo di grande crescita demografica, e i sobborghi continuarono ad allargarsi fuori delle mura, tanto che nel 1172 fu decisa la costruzione di nuove mura in pietrame notevolmente più grandi che li inglobasse. Per crearne il fossato di difesa, il Mugnone fu spostato un’altra volta, facendolo scaricare in Arno nell’attuale piazza Goldoni. E’ in quest’epoca che viene bonificato l’argine dell’Arno, e che nasce la strada lungo l’Arno che diventerà il Lungarno Corsini, futura sede della Galleria Bazzanti. In questo secolo di grande espansione edilizia vennero costruiti edifici in tutta l’area compresa nelle nuove mura; la strada che divenne poi il Lungarno Corsini era di confine sul fiume della parte ovest del sestiere di Borgo, dove avevano terreni e fabbricati alcune famiglie fiorentine.

I più antichi “ritratti” di Firenze e il Lungarno Corsini

Il Lungarno Corsini è quel tratto “di qua d’Arno” che va dal Ponte a Santa Trìnita

al Ponte alla Carraia. Entrambi i ponti sono stati ricostruiti nelle forme originali dopo la distruzione attuata dalle truppe tedesche nell’ ultima guerra.
Le prime vedute a stampa di Firenze risalgono alla seconda metà del ‘400; la più celebre è la Veduta Berlinese detta “della Catena” che risale al 1470 circa; è stampata su sei fogli, ed è nel Gabinetto delle Stampe del Museo di Berlino.

Ve ne sono altre del tardo quattrocento, la più nota delle quali è la cosiddetta “Veduta Schedeliana” facente parte del Liber Chronicarum di H. Schedel stampato a Norimberga nel 1493.

In entrambe si vede come il futuro Lungarno Corsini sia delimitato a destra del palazzo merlato Feroni-Spini costruito alla fine del ‘200 in corrispondenza del ponte a Santa Trìnita, e a sinistra dal Palazzo Ricasoli, (dislocato erroneamente dentro il fiume e al di là del ponte alla Carraia nella Veduta Schedeliana). Si vede inoltre come il Lungarno non proseguisse oltre il ponte alla Carraia. Interessante è anche l’affresco del Ghirlandaio eseguito nella Cappella Sassetti di Santa Trìnita nel 1475 con le storie di San Francesco: nel Miracolo del fanciullo resuscitato si vede la chiesa di S. Trìnita, il trecentesco ponte alla Carraia e, a destra, l’inizio del Lungarno.

La prima pianta “scientifica” di Firenze è quella del “Buonsignori” del 1594

in cui al numero 211 corrispondono le case dei Gianfigliazzi, mentre al n.160 è il palazzo Ricasoli. A metà appare lo slargo della piazzetta Gianfigliazzi che attraverso un arco dava accesso a via della Fonte (oggi via del Parioncino); questo spazio venne successivamente occupato dalla costruzione di un immobile per l’allargamento del monastero vallombrosano di Santa Trìnita progettato da Michelozzo con la centrale finestra “alla fiamminga”, cioè a croce.

Nella pianta del Bonsignori si vede anche come, col palazzo Ricasoli e il Ponte alla Carraia il Lungarno finiva. Verrà continuato con la costruzione nel 1870 del “Lungarno Nuovo”. La parte più larga dell’area a forma di trapezio era di proprietà dei Compagni fino al muro di traverso che divideva il loro giardino da quello dei Ricasoli. Si vedono le grandi case dei Compagni su via del Parione, smantellate e in parte inglobate poi nel retro del palazzo Corsini, vicino all’ ingresso posteriore della Galleria Bazzanti.

Appena si entra nella Galleria Bazzanti, si vede appesa una stampa del Palazzo Corsini: le vedute più antiche del Lungarno sono appunto le grandi incisioni dello Zocchi del 1740 circa. Nella prima si vede la parte ovest del Lungarno, con al centro il Palazzo Cosini e la sua terrazza di sinistra (davanti alla quale transita una carrozza), quindi subito prima del ponte alla Carraia il Palazzo Ricasoli, mentre all’estrema destra la casa dei Vallombrosani con la grande finestra a crociera, opera di Michelozzo, che ha preso il posto dell’antica piazzetta Gianfigliazzi. Di seguito l’incisione Zocchi con due ingrandimenti nei quali si vede il Palazzo Corsini ed i tre sporti e una finestra sotto la terrazza in cui era posto lo studio di scultura di pietra e marmo che diventerà nell’800 la Galleria Bazzanti.

In un’altra veduta dello Zocchi il Lungarno è visto di scorcio verso il ponte a Santa Trìnita; a sinistra, dopo il palazzo Ricasoli, si intravedono i tre sporti e finestra sotto la terrazza Corsini (con la stessa carrozza che passa davanti), e adiacente si vede il palazzo Corsini. Curioso come il Lungarno in direzione del ponte Vecchio, all’altezza di ponte S.Trìnita passasse sotto un arco del palazzo Spini Feroni (poi Ferragamo), non più esistente.

Della prima metà dell’ 800 è un dipinto di Fabio Borbottoni in cui a destra si vede la terrazza Corsini con sotto due sporti e le tende dello studio di scultura e Galleria Bazzanti, e una veduta del Lungarno Corsini di Giovanni Signorini del 1846 (particolare).

Nella foto di metà ‘800 seguente, appare la parte terminale del Lungarno Corsini con il Palazzo Ricasoli trasformato nell’Hotel New York (era stato Hotel fin dalla seconda metà del ‘700 con i nomi di “The English House” e poi “Hotel du Nord”) e al di là del Ponte alla Carraia l’inizio delle demolizioni per l’apertura del Lungarno Nuovo.

Una foto del 1869 ci dice che dei tre sporti dello studio di scultura presenti nel ‘700 sotto la terrazza, uno è stato chiuso e la finestra allargata.

Nell’ultima parte del ‘800 si assiste ad una modifica architettonica di rilievo: il palazzo Ricasoli venne allungato lateralmente: sul Lungarno compaiono infatti due finestre in più, che da 8 (prima immagine) diventano 10, e viene creata una seconda entrata laterale decentrata (seconda immagine), a scapito di una parte della costruzione adiacente.

Per alcuni anni nulla cambia, ad eccezione delle tende della Galleria Bazzanti e del fatto che la costruzione ridotta diventa parte dell’Hotel New York.

Durante il ‘900 un’ulteriore modifica architettonica fa arretrare la costruzione adiacente al Palazzo Ricasoli permettendo l’allargamento della terrazza e la realizzazione di altri negozi con altri sporti.


Il Porcellino di Firenze

Il Cinghiale di marmo, replica romana

Il cinghiale di bronzo della fontana della Loggia del Mercato Nuovo a Firenze, fu subito soprannominato, con la tipica ironia fiorentina, “il Porcellino”. Tutto ebbe inizio con la visita che Cosimo I dei Medici fece nel 1560 al papa Pio IV. Non solo Cosimo si appassionò alle antichità, ma ebbe in dono dal Papa la replica romana in marmo di un cinghiale di bronzo greco del III secolo a.C. scavato a Roma (attualmente al Museo degli Uffizi)

insieme a due cani molossi marmorei. E se li portò a Firenze, nella sua nuova dimora di Palazzo Pitti (successivamente furono portati alla Galleria degli Uffizi).

Il nipote invidioso e la replica di bronzo

Anni dopo il nipote Cosimo II ordinò allo scultore Pietro Tacca, allievo del Giambologna, una copia in bronzo del Porcellino di marmo da riportare in Palazzo Pitti, Il Tacca eseguì il calco nel 1612 e nel 1633 lo fuse in bronzo con la tecnica della cera persa.

Il bronzo m’ha stancato, mettiamolo in piazza!

Nel 1640 fu deciso di trasformare la scultura in fontana per la popolazione di Firenze, e venne istallata nel lato della loggia del Mercato Nuovo. Prima però il Tacca modellò la scultura della base simulando una porzione di prato popolata da erbe, rettili, insetti, che fuse a cera persa insieme all’animale.

Il povero porcellino perde la faccia

Il continuo prelievo dall’acqua per due secoli senza rispetto per il monumento portò ad una forte usura sia della base che del muso del Porcellino (Museo Bardini, Firenze),

tanto che alla metà del XIX secolo fu deciso di eseguirne una replica per sostituire la fontana originale. Venne eseguito un calco sul bronzo consumato e deteriorato, calco che venne riportato allo stato originale in cera, base compresa, da cui si ottenne una seconda replica che andò a sostituire la prima (anche questa oggi al Museo Bardini), fusa a cera persa nel 1857 dalla fonderia di Clemente Papi, erede diretto dei fonditori rinascimentali.

Altro che fontana di Trevi!

Già dalla fine dell’ 800 il Porcellino era diventato uno dei simboli più ammirati della città di Firenze, e nacque la leggenda che chi gli avesse accarezzato il muso sarebbe ritornato a Firenze, un po’ come per Roma gettare una moneta nella fontana di Trevi. Il numero dei turisti iniziò ad aumentare vertiginosamente, e il muso del cinghiale cominciò a consumarsi in maniera preoccupante, come anche la base scolpita su cui molti salivano beatamente incuranti dei danni prodotti al bronzo.

Arrivano i nostri!

Fu così che nel 1998 Il Porcellino e la sua base vennero sostituiti un’altra volta: fu ordinata una nuova replica eseguita dalla Fonderia Ferdinando Marinelli di Firenze, che nella propria gipsoteca conserva il calco eseguito sull’originale, che ha sostituito la replica ottocentesca.

Ma le violente “carezze” dei turisti hanno abraso e consumato il muso di bronzo del nuovo Porcellino che gli artigiani della Fonderia Ferdinando Marinelli hanno dovuto una prima volta risaldare

e, tempo dopo, addirittura sostituire con una fusione nuova la parte superiore del muso dell’animale.


Il Blocco del Marmo per la scultura monumentale

5 Aprile 2018

Dopo vari sopralluoghi finalmente il nostro scultore ha trovato nella cava di marmo di Carrara, la bancata e il punto da cui estrarre il blocco che lo soddisfano, per realizzare la scultura monumentale.

L’enorme blocco, considerato perfetto dallo scultore, è stato poi estratto. Successivamente sarà trasportato alla segheria per il taglio desiderato e infine allo studio dove verrà scolpito interamente a mano.


Una serie di cartoline postali edite con immagini di Opere della Galleria Pietro Bazzanti e Figlio e della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli relative alla Carretta dei Pionieri, lo Scalone Monumentale in Vaticano, La Porta Santa della Basilica di San Pietro, Il Porcellino di Firenze, statue e fontane per i Casinò della Las Vegas Strip, la Fontana dei Broncos, oltre a una panoramica della Galleria e del Lungarno Corsini dal ‘800 fino ai tempi recenti.

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La Galleria Bazzanti e il Lungarno Corsini nella cartoline postali d’epoca:

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1875 – La Galleria Bazzanti apre sul Lungarno quattro vetrine. Le prime tre tende sono unite, si intravede lateralmente la scritta col nome.

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1890 –  Le tende hanno dipinto in grande il nome Pietro Bazzanti & F.

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1903 – Un drappello di militari passa davanti alla Galleria.

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Primissimi ‘900 – Le tende bianche sono state semplificate.

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Primissimi ‘900 – All’estrema sinistra appaiono le tende della Galleria.

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S.D. – La Galleria è l’ unica tenda del Lungarno Corsini.

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1928 – Ora le quattro tende sono separate l’una dall’altra.

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S.D. – Le vetrine della Galleria sono ben visibili, con alcune sculture di marmo. Il timbro in violetto è coevo.

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Le cartoline postali sono tratte da fotografie eseguite poco dopo il montaggio del monumento di Josè Belloni a Montevideo (Uruguay) del 1930, fuso dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze.

Vedi anche

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Le cartoline postali hanno l’immagine dello scalone monumentale fuso e montato nel 1932 dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze all’ingresso del Museo Vaticano, poco prima dell’inaugurazione.

Vedi anche

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La cartolina postale è stata stampata per la Porta Santa della Cattedrale di San Pietro in Vaticano fusa in bronzo dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze nel 1950. Ha sostituito la precedente in legno. Viene aperta dal Papa solo in occasione dei Giubilei.

Vedi anche 

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Replica della celebre fontana fiorentina del Porcellino del Tacca che la Galleria Bazzanti ha inviato nella città di Victoria, Canada, per ornare il Butchart Garden, di cui ne hanno fatto una cartolina.

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Cartoline del Caesar Palace Hotel di Las Vegas a cui la Galleria Bazzanti ha fornito gran parte delle statue di marmo di Carrara degli arredi esterni ed interni.

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Sette cavalli Broncos, simbolo della squadra, galoppanti verso l’ingresso dello stadio Invesco Field di Denver, USA. Opera creata da Sergio Benvenuti e realizzata dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze per la Bowlen Holdings nel 2001.

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I Butchart Gardens sono un gruppo di giardini  floreali situati a Brentwood Bay, Columbia Britannica, Canada. Ricevono ogni anno circa un milione di visitatori e sono stati designati come Sito Storico Nazionale del Canada.

Vi sono molte opere in bronzo realizzate dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli.

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Butchart Gardens – 1967

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Anni ’60

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1969